14 maggio 1948: nasce lo Stato di Israele

Una data che ha cambiato le sorti di un popolo e di gran parte del mondo

di Domenico Colella

La nascita dello Stato di Israele, avvenuta ufficialmente il 14 maggio 1948, rappresenta uno degli eventi più significativi e controversi del XX secolo. Le sue radici affondano in un contesto geopolitico complesso, segnato da aspirazioni nazionali contrastanti, dal crollo degli imperi coloniali e dalle conseguenze drammatiche della Seconda guerra mondiale. Comprendere la genesi dello Stato israeliano significa esaminare le dinamiche del Medio Oriente del primo Novecento, le aspirazioni sioniste, la reazione del mondo arabo e il ruolo delle potenze internazionali. Già dai primi decenni del Novecento, il Medio Oriente si era infatti trasformato in una regione di crescente importanza strategica, anche e soprattutto per la ricchezza delle sue risorse naturali, in primis il petrolio.

Dopo la caduta dell’Impero Ottomano al termine della Prima guerra mondiale, le potenze europee – in particolare Gran Bretagna e Francia – si spartirono gran parte dei territori arabi secondo gli accordi di Sykes-Picot del 1916, suscitando però profondi risentimenti tra le popolazioni locali.

Nacquero così, in parallelo, due anime del nazionalismo arabo: una di stampo tradizionalista, che mirava alla “reislamizzazione” delle società attraverso un ritorno ai precetti coranici, e una laica e modernizzatrice.

La Seconda guerra mondiale accelerò i processi di decolonizzazione anche in Medio Oriente. La Gran Bretagna, uscita provata dal conflitto, dovette fare i conti con le rivendicazioni indipendentiste delle popolazioni arabe. Nel 1946, Londra riconobbe l’indipendenza della Transgiordania (futura Giordania), mentre la Francia si ritirò dalla Siria e dal Libano. Discorso a parte per l’Iraq che era già formalmente indipendente dal 1932, anche se restava sotto forte influenza britannica.

Nel 1945 alcuni Stati arabi – tra cui Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Yemen e la stessa Transgiordania – fondarono la Lega Araba, con l’intento di promuovere una cooperazione regionale in campo politico, economico e culturale. Tuttavia, le divergenze interne e le ambizioni nazionali non permisero la realizzazione di un vero progetto federativo.

Il caso più complesso da risolvere era quello della Palestina. Sotto mandato britannico dal 1920, questo territorio era abitato da una maggioranza araba ma aveva visto una crescente immigrazione ebraica, sostenuta dal movimento sionista, che mirava alla creazione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico nella terra storicamente legata alla tradizione biblica. Negli anni Trenta Londra si era impegnata a rendere indipendente la Palestina entro un decennio. Tuttavia, la crescente tensione tra le comunità ebraiche e arabe, entrambe in forte opposizione all’autorità coloniale britannica, rese difficile qualsiasi mediazione.

Durante la guerra, la tragedia della Shoah e la rivelazione dell’orrore dei campi di sterminio rafforzarono il sostegno internazionale alla causa sionista. Gli Stati Uniti, fortemente influenzati dalla propria comunità ebraica, divennero un sostenitore decisivo del progetto israeliano.

Nel frattempo, la comunità ebraica in Palestina (il Yishuv) si era dotata di una propria rete di servizi, milizie armate (come l’Haganah, ma anche gruppi più radicali come l’Irgun e la Banda Stern) e strutture amministrative autonome. L’opposizione araba all’immigrazione ebraica degenerò spesso in scontri violenti. La Gran Bretagna, incapace di gestire la situazione, decise di ritirarsi e lasciò la questione palestinese nelle mani delle Nazioni Unite.

Nel novembre 1947, l’ONU approvò un piano di spartizione che prevedeva la creazione di due Stati, uno ebraico e uno arabo, con Gerusalemme sotto amministrazione internazionale. La proposta fu accolta con entusiasmo dagli ebrei, ma rifiutata dagli arabi, che la consideravano ingiusta e illegittima. Alla mezzanotte del 14 maggio 1948, il giorno precedente al ritiro ufficiale britannico, David Ben Gurion proclamò la nascita dello Stato di Israele.

La reazione araba fu immediata: Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq invasero il neonato Stato, dando inizio alla prima guerra arabo-israeliana. Nonostante l’apparente superiorità numerica degli attaccanti, le forze israeliane – ben organizzate, motivate e armate – riuscirono a respingere l’offensiva e a conquistare ulteriori territori rispetto a quelli previsti dal piano ONU.

Con l’armistizio del gennaio 1949, Israele aveva ampliato i propri confini, includendo anche la parte occidentale di Gerusalemme. La Transgiordania annetté la Cisgiordania, mentre la Striscia di Gaza passò sotto controllo egiziano. Lo Stato arabo di Palestina, previsto dal piano ONU, non vide mai la luce. Circa 700.000-800.000 arabi palestinesi furono costretti ad abbandonare le loro terre e si rifugiarono nei paesi arabi confinanti, dando origine alla questione dei profughi palestinesi, una ferita ancora aperta nel conflitto mediorientale.

Fin dalla sua nascita, Israele si caratterizzò come uno stato democratico e moderno, ispirato ai modelli occidentali, con un sistema sociale avanzato e una particolare attenzione all’istruzione e alla scienza. L’economia, sostenuta dagli aiuti delle comunità ebraiche della diaspora e dal sostegno statunitense, crebbe rapidamente, grazie anche alla particolare organizzazione cooperativistica dei kibbutzim, comunità agricole collettive nate con il Sionismo socialista. Guidato da leader carismatici e determinati come David Ben Gurion, lo Stato israeliano mostrò fin da subito una capacità organizzativa e militare superiore rispetto ai suoi vicini. Tuttavia, la sua esistenza fu fin dal principio accompagnata da conflitti ciclici, tensioni internazionali e un profondo senso di precarietà legato al rifiuto del mondo arabo di accettarne la legittimità.

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