Il 18 giugno 1982, il corpo senza vita di Roberto Calvi viene ritrovato impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri, sul Tamigi, a Londra. Indossa l’abito grigio d’ordinanza, le scarpe italiane lucide, ma in tasca ha un po’ di mattoni e diversi migliaia di dollari, sterline e franchi svizzeri. A prima vista potrebbe sembrare un suicidio, ma da quel momento si apre uno dei più intricati e oscuri misteri della storia italiana del Novecento: una vicenda che intreccia finanza internazionale, servizi segreti, mafia, logge massoniche e perfino il Vaticano. Una storia che è ancora oggi, a oltre quarant’anni di distanza, fonte di inchieste, libri e teorie.
Roberto Calvi nasce a Milano nel 1920. Dopo una formazione in ambito economico e l’ingresso nei ranghi del Banco Ambrosiano nel secondo dopoguerra, ne diviene direttore generale nel 1971 e poi presidente nel 1975. Sotto la sua guida, la banca diventa uno dei principali istituti finanziari privati d’Italia, ma cresce anche una fitta rete di società offshore, operazioni poco trasparenti e alleanze con attori potenti e discutibili, tra cui la loggia massonica P2, presieduta da Licio Gelli.
Calvi è soprannominato “il banchiere di Dio” per via dei suoi stretti legami con lo IOR (Istituto per le Opere di Religione), la banca vaticana guidata all’epoca dall’arcivescovo Paul Marcinkus. Insieme, Banco Ambrosiano e IOR alimentano una rete finanziaria che finanzia governi amici, movimenti anticomunisti e operazioni riservate nella guerra fredda. Ma le falle nel sistema sono molte e, con il tempo, la struttura comincia a crollare.
Nel 1981, a seguito di un’inchiesta condotta dal magistrato milanese Gherardo Colombo, Calvi viene arrestato per esportazione illegale di capitali. Dopo un breve periodo in carcere, viene rilasciato in attesa di processo. Il Banco Ambrosiano, attraverso una fitta rete di società estere, aveva accumulato debiti per oltre 1.3 miliardi di dollari. Il fallimento dell’istituto è inevitabile: nel luglio del 1982 viene dichiarato il crac.
Una delle domande che sorgono subito è: dove sono finiti i soldi? In pochi riescono a rispondere. Eppure, molte delle tracce portano verso due direzioni: il Vaticano e la loggia P2. Nei giorni che precedono la sua morte, Calvi appare come un uomo disperato. Sa di essere un bersaglio. Sa troppo. L’11 giugno 1982, fugge dall’Italia usando un passaporto falso, aiutato da ambienti legati alla massoneria e ai servizi segreti. Arriva a Londra passando da Zurigo e Venezia. Ma nella capitale britannica trova la morte. Il 18 giugno, all’alba, un passante scopre il suo corpo impiccato sotto il Ponte dei Frati Neri (Blackfriars Bridge). Le circostanze sono fin da subito sospette: le tasche piene di mattoni (simbolo della massoneria?), i soldi in diverse valute, la posizione del corpo. La polizia britannica archivia inizialmente il caso come suicidio, ma la famiglia Calvi e molti osservatori non sono d’accordo.
Secondo alcune ricostruzioni, Calvi sarebbe stato ucciso perché era diventato un personaggio scomodo, pronto a rivelare dettagli scottanti. La loggia P2 avrebbe temuto che parlasse delle operazioni riservate a cui aveva preso parte; il Vaticano, che potesse rivelare il ruolo dello IOR nel riciclaggio di denaro e nei finanziamenti occulti; la mafia, che aveva affidato a Calvi ingenti somme per essere ripulite, temeva di perdere tutto. Nel 2005, dopo una lunga battaglia legale, la magistratura italiana riconosce ufficialmente che Calvi fu assassinato. Le indagini conducono a un processo contro cinque imputati, tra cui Pippo Calò, cassiere della mafia, e Flavio Carboni, faccendiere con rapporti trasversali. Ma nel 2007, tutti gli imputati vengono assolti per insufficienza di prove.
Il coinvolgimento del Vaticano nella vicenda rimane uno degli aspetti più controversi. Lo IOR, che aveva con il Banco Ambrosiano una relazione finanziaria opaca, viene accusato di aver garantito alcune delle operazioni che portarono al crollo della banca. Tuttavia, non verrà mai formalmente processato. Nel 1984, il Vaticano accetta di versare circa 250 milioni di dollari ai creditori del Banco Ambrosiano “a titolo di contributo volontario”, senza riconoscere responsabilità legali. Una decisione che, per molti osservatori, suona come un’ammissione implicita. I legami tra Calvi e Marcinkus sono documentati, ma quest’ultimo non sarà mai processato grazie alla cittadinanza vaticana e all’immunità diplomatica.
Il caso Calvi risulta un nodo che lega insieme le contraddizioni più profonde del potere italiano del dopoguerra: l’ambizione senza regole della finanza, l’ambiguità delle istituzioni religiose, la pervasività della criminalità organizzata, il ruolo inquietante dei servizi segreti.