28 maggio 1871: la fine della Comune di Parigi

Avvenne tutto nella "Settimana di sangue"

di Domenico Colella

La primavera del 1871 fu testimone di uno degli esperimenti rivoluzionari più intensi e tragici della storia europea: la Comune di Parigi. Nata da un’insurrezione popolare, alimentata dal malcontento sociale e politico dopo la sconfitta francese nella guerra franco-prussiana, la Comune rappresentò per due mesi un tentativo radicale di autogoverno operaio. Ma la sua fine, avvenuta durante la brutale “Settimana di sangue” (21–28 maggio 1871), fu altrettanto drammatica quanto la sua nascita, lasciando dietro di sé un’eredità dolorosa e un esempio vivente delle tensioni esplosive tra classe dirigente e masse popolari.

Il 1870 fu un anno disastroso per la Francia. La guerra contro la Prussia, voluta dall’imperatore Napoleone III, si risolse in una clamorosa sconfitta. La battaglia di Sedan segnò la cattura dell’imperatore e la caduta del Secondo Impero. Parigi, assediata dalle truppe prussiane, soffrì fame, freddo e umiliazione. Quando l’armistizio fu firmato nel gennaio del 1871, molti parigini si sentirono traditi dal nuovo governo repubblicano, che sembrava più interessato a salvare i propri interessi che a difendere la capitale.

L’Assemblea nazionale, eletta nel febbraio 1871 e dominata da monarchici e conservatori, si trasferì a Versailles, lontano da una Parigi giudicata troppo radicale. Fu proprio questa distanza politica e simbolica a innescare l’insurrezione. Il tentativo del governo di sottrarre alla Guardia Nazionale i cannoni posizionati sulle alture di Montmartre il 18 marzo 1871 fu il casus belli: i soldati fraternizzarono con gli insorti e Parigi si sollevò. Iniziava così la breve ma intensa esperienza della Comune.

La Comune di Parigi fu proclamata il 26 marzo 1871. A guidarla non fu un unico partito, ma una coalizione eterogenea di repubblicani radicali, socialisti, anarchici e internazionalisti. Le istituzioni della Comune rifiutarono l’autoritarismo centralista, puntando su forme di democrazia diretta, autogestione e partecipazione popolare. Le misure adottate furono tanto simboliche quanto concrete: la separazione tra Chiesa e Stato, l’istruzione laica e gratuita, la gestione collettiva delle fabbriche abbandonate dai padroni, l’abolizione della leva obbligatoria, la riforma del sistema giudiziario, l’uguaglianza salariale tra insegnanti uomini e donne. La Comune divenne un laboratorio politico rivoluzionario che attirò l’interesse di intellettuali e militanti in tutta Europa, tra cui Karl Marx, che ne esaltò il valore nell’opera “La guerra civile in Francia“. Tuttavia, la situazione militare era disperata fin dall’inizio. La Comune non riuscì a ottenere l’appoggio delle altre città francesi, che rimasero fedeli al governo di Versailles. Inoltre, la sua stessa struttura decentrata e la pluralità ideologica interna ne compromettevano l’efficacia decisionale.

Il governo di Versailles, guidato da Adolphe Thiers, decise di stroncare la Comune con la forza. Dopo settimane di preparativi, le truppe governative entrarono a Parigi il 21 maggio 1871, aprendo la strada a un massacro che durò una settimana intera. La “Settimana di sangue”, infatti, fu una delle più spietate repressioni della storia moderna. Le forze lealiste combatterono strada per strada, casa per casa, contro i comunardi, molti dei quali erano civili armati o membri della Guardia Nazionale. I combattimenti si concentrarono nei quartieri operai della città, come Belleville e il Faubourg Saint-Antoine, dove l’opposizione fu più accanita.

Il 28 maggio 1871 le ultime sacche di resistenza furono annientate al cimitero del Père-Lachaise, dove si combatté tra le tombe. Oltre 150 comunardi furono fucilati contro il cosiddetto “Muro dei Federati” (Mur des Fédérés), divenuto in seguito un simbolo della memoria rivoluzionaria. Secondo le stime più accreditate, tra i 15.000 e i 20.000 comunardi furono uccisi durante la Settimana di sangue. Migliaia di altri furono imprigionati, deportati in Nuova Caledonia o costretti all’esilio.

La Comune di Parigi fu un trauma per la Francia del XIX secolo. Il governo repubblicano, pur nominalmente democratico, non esitò a usare mezzi estremi per ristabilire l’ordine. L’odio di classe che esplose nella primavera del 1871 lasciò ferite profonde nella società francese e alimentò per decenni la paura delle classi dirigenti verso ogni forma di socialismo o radicalismo.

Eppure, la Comune fu anche una fonte d’ispirazione duratura. Nonostante la sua sconfitta, essa divenne un mito fondativo per i movimenti operai e rivoluzionari del secolo successivo. Lenin, nel 1917, vide nella Comune un’anticipazione della dittatura del proletariato. I socialisti europei ne celebrarono gli anniversari come momenti di memoria collettiva. Gli anarchici vi riconobbero un esempio di autogestione e rifiuto del potere statale. Paradossalmente, fu proprio la brutale repressione a garantire alla Comune un posto nella storia: la sua fine segnò la sconfitta militare, ma il suo spirito sopravvisse nei sogni e nelle lotte delle generazioni future.

Il 28 maggio 1871, con la fine della Comune di Parigi, non si concluse solo una rivolta: finì un esperimento di autogoverno che, pur nelle sue contraddizioni, tentò di rovesciare le regole di una società iniqua. La violenza con cui fu spenta questa utopia testimonia quanto potesse far paura il semplice gesto di un popolo che si auto-organizza, che prende in mano il proprio destino. Oggi, oltre 150 anni dopo, la Comune resta un capitolo controverso e affascinante della storia moderna: un monito, una speranza, e soprattutto una domanda ancora aperta sulla possibilità di conciliare giustizia sociale, libertà e democrazia.

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