Avellino calcio: ed ora?

Cronistoria recente dell'Avellino Calcio

di Enzo Pecorelli
Credits Photo Carmine Tulino

Sette anni per rifarsi. Mica poco! Un pomeriggio, a Frosinone, i lupi furono cancellati dalla geografia del calcio. Meritatamente o no? Si parlò di una fideiussione poco limpida. Certo, con tutto quello che abbiam visto, poi, per gli irpini è stato uno scippo. Bello e buono. Ho letto e vissuto, nel tempo successivo: “suvvia!”. Lasciapassare per tutti. Campionati possibili per chiunque. Tranne, poi, stravolgere i tornei. In corsa. Niente più soldi, niente più partite. Squadre ritirate. Risultati falsati. Perché? A saperlo!

E gli irpini ripartirono da zero. O quasi. No, non c’è ombra di vittimismo. Pura cronaca. I dilettanti, dopo solo un anno, risputarono l’Avellino tra i professionisti. Dopo un’impresa titanica, per la verità. Ma il destino biancoverde agisce ed interviene, sempre, come il più spietato dei ragionieri. Ti dà e ti leva. Una società che sembrava solida. Viene affiancata dai tribunali, si ritrova allo sbando. Ed i tifosi? Si assorbe trauma su trauma.

Ma gli avellinesi, si sa, sono trasfigurazione dei lupi. In qualche maniera cacciano per sopravvivenza. E trovano. Il gruppo D’Agostino assume il comando. Sembra tutto ok. Soprattutto in termini di disponibilità. Economica e personale. Ma manca un altro, un solo, fondamentale elemento: la competenza. Quella si sposa, in automatico, con l’organizzazione. Ed è foriera di successi. Quasi obbligati. Il calcio è scienza solitaria. O lo comprendi o sei fregato. Soldi e capacità si devono coniugare. Diversamente perdi. Tutto. E non solo sul campo. Non solo per risultati. Ma scompare l’entusiasmo. A macchia d’olio. Quanti si sono allontanati. Soprattutto i giovani. E questo è stato un dolore lancinante. Ma la proprietà ha insistito. E resistito. Onore per cotanto coraggio. Certo, ha pensato, vivaddio, alla buon’ora, di farsi coadiuvare nelle gestioni. Ma ha sbagliato gli uomini. Intanto senza riscontri di vittoria, patrimonio di tifosi che si assottiglia. Rischio di dilapidarlo in toto.

Ma che fortuna, però, per gli irriducibili. Trovano una società che insiste. E prende decisioni. Tanto disperate quanto coraggiose. Forse non ve ne sono altre. Allenatore debuttante. Direttore sportivo, pure. Esito? Si è vinto. Anzi stravinto. Imponendo la regola: il calcio è metafora della vita. Dove tutto sembra impossibile, poi, si trionfa. Certo è andato tutto bene. Certo era pure ora! Adesso si entra in categorie e meccanismi più seri. Professionali. Di spessore. Di profilo. Niente può e deve essere lasciato al caso. Infatti la valanga di adempimenti è già comparsa all’orizzonte. Stadio, organico, dirigenza, ruoli per comparti. Tutto deve essere professionale. Anche perché, se ho capito bene, quasi a convincermi, il campionato prossimo, e qualche altro dopo, magari, dovrebbero ospitarci per poco. L’idea è di trasferirsi ai piani più alti. Panorama ed osservatorio che manca ,oramai, da un’era geologica.

Controllo le emozioni. Troppe delusioni. Perché troppe, precedenti, illusioni. Ma al fischio della matematica promozione, vedevo ombrato. Ho tolto gli occhiali. E non erano sporchi. Umido sul viso. Silenzioso rivolo che scendeva. Non ho partecipato alla festa. Mi sono avviato, senza sapere dove. Le spalle curve. Un senso, però, di pienezza. Con una sola parola in testa: finalmente. Ho sempre ripudiato le follie collettive. Stavolta le ho giustificate. Ed approvate. Più precisamente ho intravisto il senso liberatorio. La morale della favola è che forse tutti abbiamo imparato qualcosa. Al netto dei social che,continuano ad erogare concentrati di stupidità. La società non più vittima dei propri orrori. I calciatori vecchi e nuovi che intuiranno il Santuario Partenio Lombardi. La maglietta che assumerà un verde più intenso. Le speranze dovranno mutarsi in fattibilità. Ed io che dovrò convincermi che quando dissi “è l’ultima volta”, intendevo la penultima.

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