L’idea di collegare la Sicilia e la Calabria con un ponte di oltre 3 km (che diventerebbe la campata unica più lunga al mondo) è tornata al centro del dibattito pubblico italiano. Dietro ai rendering e alle promesse di rilancio economico, però, si profilano impatti concreti sulle comunità locali: espropri di case e terreni, rischi per la biodiversità marina e terrestre ed una serie di contenziosi che rischiano di trascinare il progetto in un lungo braccio di ferro giudiziario e sociale.
Il progetto definitivo approvato prevede un’opera da diversi miliardi (la cifra attuale si aggira intorno ai 13–13,5) considerando anche gli interventi per le infrastrutture di accesso. Le autorità sostengono che il ponte ridurrà drasticamente i tempi di percorrenza e creerà nuove opportunità di sviluppo. I documenti ufficiali spiegano inoltre che l’iter ha già raccolto prescrizioni e richieste di approfondimento in sede ambientale.
Le prime fasi operative hanno già messo in moto i piani di acquisizione immobiliare: stime giornalistiche riportano centinaia di unità immobiliari coinvolte (circa 448 solo sul lato siciliano) e una spesa potenziale per indennizzi nell’ordine di alcune centinaia di milioni di euro. Il piano di esproprio, che il Ministero descrive come regolato e corredato da procedure di indennizzo, prevede anche formule per incentivare la cessione volontaria con maggiorazioni economiche per chi accetta la trattativa bonaria. Sul terreno, però, il taglio è reale: famiglie costrette a spostarsi, attività economiche locali a rischio interruzione e una rete sociale che viene rimodellata contro la volontà di molti residenti.
Dal 2023 la popolazione nelle piazze ha espresso il proprio malessere: manifestazioni, cortei e presidi raccontano una popolazione divisa tra chi spera nelle ricadute occupazionali e chi teme la perdita di case e paesaggi storici. Le associazioni locali e alcuni sindacati sollevano dubbi sulla trasparenza delle procedure, sulla reale efficacia delle compensazioni e sulla tutela dei diritti delle persone obbligate a cedere proprietà private per ragioni di interesse pubblico.
Dal punto di vista ingegneristico il progetto sostiene di avere misure di mitigazione e compensazione, ma le associazioni ambientaliste, da Greenpeace a Legambiente e WWF, hanno sollevato l’allarme per la perdita di habitat, le rotte migratorie degli uccelli e l’impatto su fondali, specie marine e attività tradizionali come la pesca. Le stesse hanno presentato, nell’agosto 2025, un reclamo alla Commissione Europea dove sostengono che siano ancora da ottemperare 62 prescrizioni legate alla compatibilità ambientale e che le condizioni precise previste non siano state rispettate. Sono minacciate da tutto ciò alcune aree protette, tra cui la riserva naturale dei Laghi di Ganzirri e le Zone di Protezione Speciale (ZPS) dello Stretto, siti inseriti nella Rete Natura 2000 secondo la normativa europea.
I ricorsi e i reclami presentati anche a livello europeo sottolineano come gli effetti sulla biodiversità non siano un dettaglio tecnico, ma un fattore che incide profondamente sul tessuto sociale ed economico locale. Le autorità continuano a sottolineare i benefici attesi in termini di mobilità e potenziale crescita economica; i critici ricordano invece i costi sociali e ambientali, non sempre quantificabili nei bilanci.
In gioco non ci sono solo metri cubi di cemento, ma vite quotidiane: chi perderà la casa, chi vedrà cambiare il paesaggio su cui ha costruito relazioni e lavoro, chi teme che l’opera favorisca interessi nazionali a scapito delle esigenze locali. Le strade di Messina, Villa San Giovanni e dei piccoli borghi interessati sono oggi il confine visibile di un confronto che intreccia urbanistica, diritti e identità territoriale.
Il dossier resterà aperto su più fronti: i procedimenti amministrativi per il via libera definitivo, le pratiche di esproprio e i possibili contenziosi legali, le risposte alle prescrizioni ambientali e le azioni delle associazioni. Sul piano sociale, la partita si gioca ora su come verranno gestiti i risarcimenti, le ricollocazioni e le misure di accompagnamento per le comunità locali, fattori che determineranno se il ponte sarà vissuto come opportunità o come ferita collettiva.