Il “Reichskonkordat”: il patto controverso tra il Vaticano e la Germania nazista

(Fonti: Concordatwatch.eu, Catholicism Coffee)

di Domenico Colella
Credits Photo Trieste.news

Città del Vaticano – Berlino, 20 luglio 1933: nel cuore di un’Europa inquieta e in fermento, la firma di un accordo fra la Santa Sede e il Terzo Reich segna uno degli episodi più discussi della diplomazia del XX secolo. Il Reichskonkordat, ratificato ufficialmente il 10 settembre 1933, rappresenta il tentativo di regolamentare i rapporti tra la Chiesa cattolica e lo Stato tedesco guidato da Adolf Hitler. Ma il significato politico e morale di quell’intesa avrebbe generato, allora come oggi, accese discussioni.

La Germania del 1933 è un Paese in rapida trasformazione. Dopo la nomina di Hitler a cancelliere il 30 gennaio, il nazionalsocialismo ha iniziato a consolidare il proprio potere, mettendo fuori legge i partiti di opposizione e limitando le libertà civili. In questo quadro, la Chiesa cattolica tedesca si trova in una posizione delicata. Con circa venti milioni di fedeli – un terzo della popolazione – e un’importante rete di associazioni giovanili, scuole e opere caritative, la Chiesa è una forza sociale di primo piano, ma vulnerabile alle pressioni di uno Stato sempre più totalitario.

La Santa Sede, guidata da Papa Pio XI e dal Segretario di Stato Eugenio Pacelli (futuro Papa Pio XII), vede nella firma di un concordato una possibilità di tutelare i diritti della Chiesa, garantire la libertà di culto e difendere le istituzioni cattoliche da possibili soppressioni.

I contatti fra la Germania e il Vaticano non iniziano con Hitler: già con la Repubblica di Weimar erano stati firmati concordati con singoli Länder, come la Baviera. Ma il nuovo cancelliere intendeva firmare un accordo a livello nazionale, per consolidare la sua immagine internazionale e rassicurare i cattolici tedeschi.

Il negoziato ufficiale inizia nella primavera del 1933. Da parte tedesca, il rappresentante è il vicecancelliere Franz von Papen, cattolico e diplomatico esperto. Da parte vaticana, il cardinale Pacelli conduce le trattative con rigore giuridico, cercando di ottenere clausole di protezione per scuole, associazioni e clero. Il 20 luglio 1933 il testo è pronto: si tratta di un documento articolato in 34 articoli, che regola temi come l’istruzione religiosa, la nomina dei vescovi, l’immunità del clero e la libertà di comunicazione tra le diocesi tedesche e la Santa Sede.

Il Reichskonkordat, nella sua forma ufficiale, riconosce alla Chiesa: libertà di professione della fede cattolica, protezione delle istituzioni ecclesiastiche e delle scuole confessionali, diritto della Chiesa di nominare i vescovi senza interferenze statali, salvo l’obbligo di un giuramento di lealtà allo Stato tedesco, tutela delle organizzazioni cattoliche con finalità puramente religiose e caritative. In cambio, la Santa Sede si impegna a ritirare il clero cattolico dalla politica partitica. Questa clausola segna la fine del Partito di Centro cattolico, che fino ad allora aveva rappresentato una voce importante nella politica tedesca.

Il 10 settembre 1933, il Reichstag ratifica il concordato. La cerimonia diplomatica è celebrata come un successo da entrambe le parti. Hitler presenta l’accordo come prova della sua volontà di rispettare le religioni; il Vaticano lo interpreta come uno strumento giuridico per difendere i fedeli. In molti ambienti cattolici tedeschi si respira sollievo: si spera che il documento possa fungere da scudo contro le ingerenze del regime. Ma non mancano le voci critiche, già allora consapevoli che la natura totalitaria del nazismo mal si conciliava con le garanzie scritte.

I fatti successivi dimostrano quanto quelle speranze fossero fragili. Già a partire dall’autunno del 1933, il regime comincia a violare sistematicamente le clausole del concordato: le associazioni giovanili cattoliche vengono sciolte o assorbite nella Hitlerjugend, la stampa cattolica subisce censura, scuole e ordini religiosi sono sottoposti a crescenti restrizioni, sacerdoti e religiosi vengono arrestati con accuse di propaganda contro lo Stato.

Il Vaticano protesta più volte formalmente, ma senza ottenere cambiamenti sostanziali. Nel 1937, l’enciclica Mit brennender Sorge («Con viva preoccupazione»), redatta in gran parte da Pacelli, denuncia apertamente le violazioni del concordato e la natura neopagana dell’ideologia nazista. Il documento, diffuso clandestinamente e letto in tutte le chiese tedesche, segna una delle rotture più forti tra Roma e Berlino.

Il Reichskonkordat resta, ancora oggi, oggetto di intenso dibattito tra storici e moralisti. Alcuni lo interpretano come un atto di realpolitik: un compromesso necessario per salvaguardare la Chiesa in un contesto ostile. Altri lo considerano un grave errore politico e morale, perché contribuì a legittimare il regime agli occhi dell’opinione pubblica internazionale in una fase cruciale della sua ascesa. Gli archivi vaticani e le ricerche successive hanno mostrato che, al momento della firma, la Santa Sede non aveva alcuna illusione sul carattere autoritario del nazismo. Tuttavia, la diplomazia pontificia seguiva allora una linea costante: stipulare concordati anche con governi ostili, confidando nella forza vincolante del diritto internazionale per proteggere i fedeli.

Il Reichskonkordat non fu mai formalmente abrogato e, paradossalmente, alcune sue clausole sopravvivono nella Germania contemporanea, sebbene reinterpretate e adattate alla democrazia federale. Il bilancio storico, però, rimane controverso: il documento è al tempo stesso prova della prudenza diplomatica della Santa Sede e monito sui limiti degli accordi con regimi totalitari.

A novant’anni dalla firma, il Reichskonkordat resta uno dei capitoli più complessi del rapporto tra religione e potere politico. Nel 1933, in un’Europa sull’orlo di un baratro, esso fu percepito come un’àncora di salvezza per milioni di cattolici tedeschi. Ma la realtà dimostrò presto che quell’àncora era legata a una nave in tempesta, incapace di proteggere davvero chi vi si affidava.

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