Il vescovo di Nola: “E’ tempo della pace, bisogna rialzarsi”

Redazione Zerottouno News Redazione Zerottouno News15 Aprile 202210 min

Impegno per la pace, cammino sinodale, patto educativo con le famiglie, metodo narrativo, ritorno alla pastorale in presenza, scelta consapevole della responsabilità battesimale, contrasto ad ogni forma di organizzazione malavitosa, riscoperta della comune fraternità. Questi i temi fondamentali che il vescovo di Nola, monsignor Francesco Marino, affronta nella lunga lettera di Pasqua rivolta alla Chiesa, il cui titolo Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via? Testimoni della risurrezione in cammino sinodale, rimanda alla sequenza Victimae paschali laudes che la liturgia propone dalla Domenica di Pasqua e per tutta la settimana in Albis.

Pace. E’ la parola che risuona forte fin dalle prime righe del testo, parola necessaria, proprio in questo tempo di guerra che chiama i cristiani, a riscoprire lo stare sotto la Croce, accanto a chi soffre: «Sappiamo – scrive il vescovo Marino – che il nostro impegno di cristiani, lo ricordiamo ancora, non è un compito direttamente politico e, dunque, come ci indica il santo Padre, non siamo chiamati come credenti a parlare linguaggi politici, ma a pronunciare con coraggio le parole ecclesiali e profetiche, divenute lo scorso 25 marzo invocazione orante nel corale e solenne atto di consacrazione al Cuore Immacolato della Regina della pace».

La missione dei cristiani, scrive il vescovo Marino alla sua Chiesa, è primariamente quella di essere «testimoni del Risorto e apostoli della riconciliazione», come Maria di Magdala, ricordata fin dal titolo, proprio per evidenziare dall’inizio lo sguardo con il quale continuare nel cammino ecclesiale, in un contesto che è quello sinodale, come si legge nel primo paragrafo: Una Pasqua che interseca il cammino sinodale. 

«Abbiamo già vissuto – aggiunge – in questi primi mesi diversi appuntamenti importanti di ascolto e di confronto. In particolare sono grato per gli incontri con i fidanzati vissuti in Quaresima nei vari decanati. Con le future famiglie, infatti, siamo chiamati a realizzare un nuovo patto educativo, con loro anzitutto possiamo sognare e costruire quella rinnovata comunità ecclesiale. È tempo ora di rialzarsi, di risorgere con nuovo slancio e rinnovata progettualità. E chi, meglio dei giovani che si preparano al matrimonio, che scommettono sul futuro, che osano costruire il domani, può aiutarci a ravvivare la speranza? Siamo unanimi nel ritenere che la strada della Chiesa è l’umanità ferita da custodire e curare. Siamo convinti che la famiglia è palestra e scuola per ricostruire un mondo di pace a partire da relazioni domestiche profonde e significative».

Un cammino da fare, seguendo il metodo della narrazione, che segna questa prima fase del percorso sinodale, continua monsignor Marino al secondo paragrafo, Accompagnati dai testimoni che narrano l’incontro con il Risorto: «È un metodo efficace e attestato fin dalla Chiesa delle origini come approccio esperienziale alla fede. Quest’incontro è sempre mediato da una comunità che, nonostante i limiti e le fragilità, annuncia la presenza del Signore. Celebrare la Risurrezione – precisa il vescovo nel terzo paragrafo intitolato In ascolto di Maria di Magdala, prima testimone e apostola della Risurrezione – significa pertanto ravvivare un memoriale che ci riconduce sacramentalmente ai fatti della Pasqua attraverso gesti e parole che profumano di quotidianità». Soprattutto con i fanciulli che si preparano al primo incontro con il Signore Gesù nella comunione eucaristica e con i cresimandi che nelle prossime settimane incontreranno il Vescovo per essere confermati nella fede, ai quali monsignor Marino rivolge un particolare pensiero e augurio.

Celebrare il Sinodo è farsi – sottolinea il vescovo – dunque compagni di strada: Sulla via si vedono ancora i segni di morte, ma Cristo ha vinto afferma con forza titolando il quarto paragrafo, in cui precisa: «Avverto in giro, purtroppo, una certa fatica a ripartire. Prudenza non vuol dire immobilismo o paralisi ma superare gli opposti eccessi di superficialità e rigore, torniamo a percorrere la via della ripresa anche pastorale. Accogliamo con gratitudine anche la possibilità di riprendere le manifestazioni esterne di fede popolare, autorizzate nuovamente dal recente documento del Consiglio permanete della Cei dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Chiaramente una ripresa con senso di responsabilità, dialogo con le autorità civili e impegno a guidare ed evangelizzare, ma soprattutto consapevole che le varie occasioni dei riti della settimana santa e le prossime feste patronali, sono un aspetto importante di quella pietà popolare che contribuisce a ritornare sulla via dove incontriamo tanti che non frequentano abitualmente le nostre parrocchie se non per quelle occasioni che restano impresse nella memoria tradizionale. Testimoniare è possibile solo uscendo, percorrendo, camminando».

Nel titolo del quinto paragrafo, Celebrare il mistero pasquale significa schierarsi dalla parte della Vita, monsignor Marino scrive che con l’annuncio pasquale «è chiamata in causa la nostra consapevole responsabilità. Sebbene ci siano ancora il sudario e le sue vesti, cioè le insegne del mistero d’iniquità che si era abbattuto su Gesù, a noi è chiesto di indossare la veste battesimale che rappresenta la solida armatura nella battaglia contro il potere del male. Questa è l’istantanea di quel nuovo mondo inaugurato dalla Risurrezione: non sono annullati i segni del dolore, non sono rimosse le ferite della sofferenza e questo perché l’accoglienza e la partecipazione alla Redenzione operata da Cristo non è un automatismo, ma una scelta credente. Infatti, ciascuno di noi conserva la possibilità, la triste sventura, di ribellarsi a Dio, di respingerlo implicitamente con il comportamento iniquo, o esclamando con le azioni disumane: ‘Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi’ (Lc 19, 14)».

Una scelta credente ha un preciso effetto, esplicitato nel titolo del paragrafo sei: Edificare una società pasquale, lasciando il sepolcro di ogni forma di criminalità. «Quanti segni di morte si vedono ancora sul nostro territorio – scrive il vescovo – nelle nostre strade. La camorra, gli omicidi, le stese a sfondo intimidatorio, la criminalità organizzata, la tossicodipendenza dilagante specie tra i più giovani, i disastri dell’inquinamento ambientale, le speculazioni edilizie. La Chiesa è costantemente presente sul fronte del contrasto ad ogni forma di violenza e di sopruso, attraverso l’attività delle parrocchie, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali. Non si tratta semplicisticamente di denunce da fare o di parole da dire: è lo stesso essere Chiesa, comunità redenta in cammino nella ordinaria quotidianità, il vero sistema alternativo alle opere delle tenebre che contrasta, già con la presenza di servizio al bene comune, le organizzazioni malavitose. Il Signore in quest’impegno di edificazione di una società pasquale non ci fa mancare gli angeli della resurrezione, testimoni della gloria di Dio anche nel nostro tempo”.

Penso in questo momento a don Peppe Diana, mio compagno più giovane negli anni di seminario nella nostra stessa diocesi di provenienza. Penso al giornalista Giancarlo Siani, che abbiamo ricordato recentemente nel convegno promosso dalla nostra Azione cattolica a Torre Annunziata. Penso al Giudice Rosario Livatino, beatificato l’anno scorso da papa Francesco. Infine, penso a Mimmo Beneventano di Ottaviano e ai tanti altri che nella nostra diocesi hanno testimoniato l’impegno per la legalità e contro la camorra. Uomini e donne credenti e non credenti che hanno abitato la via del cambiamento e camminando insieme con tutti hanno annunciato che la Vita ha vinto e che la serietà del proprio lavoro quotidiano è ciò che più spaventa gli operatori di iniquità. La Pace è un itinerario da fare insieme verso un’umanizzazione autentica, a partire dall’ascolto dei testimoni».

Perché La Pasqua educa al dialogo della fraternità, si legge nell’ultimo capitolo. «L’annuncio pasquale nella tradizione orientale – scrive monsignor Marino – conserva la forma responsoriale: uno dice Christòs anèsti (“Cristo è risorto”), ed un altro che sta di fronte risponde: alithòs anèsti (“è veramente risorto”). Questa modalità di trasmissione del kerigma, nella sua efficacia relazionale, ci fa comprendere che la verità della Risurrezione si realizza e si trasmette nel dialogo fraterno; nell’autenticità di quei rapporti tra di noi riscoprendoci sempre “Fratelli tutti”. Torniamo a dirci parole belle, parole di vita, che costruiscono davvero quella comunità pasquale che cammina insieme in maniera sinodale e che sa che non ha altre parole da dire se non che Cristo è veramente risorto e in Lui tutto si può vincere».

La lettera è stata consegnata in cattedrale, durante la Messa Crismale che, ha ricordato il vescovo ad inizio celebrazione, «in un modo particolarmente vivo e forte richiama la derivazione del nostro comune sacerdozio dal Signore Gesù, sommo, unico ed eterno Sacerdote della nuova Alleanza, Unto di Spirito Santo, Consacrato e inviato nel mondo.  Questa santa assemblea manifesta oggi l’unità organica del popolo di Dio, quale popolo messianico, profetico, sacerdotale e regale, nella varietà articolata dei carismi e ministeri e, nello stesso tempo, conferma e rinnova il vincolo di comunione che lega il Vescovo ai suoi presbiteri e i presbiteri tra loro nell’unico presbiterio della nostra chiesa nolana».

Ai presbiteri, durante l’omelia, monsignor Marino, ha ricordato le parole dell’Evangelii gaudium, n.49: «Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo!», partendo «dal nostro vissuto sacerdotale e pastorale, un vissuto che ciascuno di noi ben conosce, fatto di testimonianza schietta e confortante, di provata fedeltà agli impegni assunti, di generosità nella dedizione e nel servizio ai fedeli, di passione apostolica e missionaria nell’annuncio del Vangelo a tutti, ma fatto anche dalla consapevolezza di una sfida in atto che ci interpella e ci sprona ad incamminarci più decisamente in stile sinodale sulla strada di una nuova missionarietà».

E ha aggiunto: «Noi non possiamo rivivere una autentica coscienza ministeriale e missionaria di Gesù se non riconosciamo, con trepidazione sì, ma anche con commozione grata e gioiosa, che l’Ordinazione ci costituisce ministri dentro il popolo di Dio, servi premurosi della Parola del Signore, amministratori fedeli dei suoi misteri, dispensatori attenti e devoti dei gesti sacramentali che fanno rivivere il mistero pasquale e ne comunicano la grazia. Non siamo “padroni” della Parola di Dio e dei Sacramenti della Chiesa. Ne siamo solo, umilmente ma straordinariamente, “servi”. Non lasciamoci mai prendere dall’abitudine e dall’assuefazione. Coltiviamo, invece, sempre la vigile consapevolezza che nelle nostre povere mani vengono posti i “misteri di Dio”, perché li possiamo comunicare ai nostri fratelli per la loro salvezza. Lasciamoci incantare, ancora una volta, dalla grandezza della nostra dignità. Riconosciamo che, come per Gesù, anche per noi la missione ha come riferimento essenziale e irrinunciabile il dono dello Spirito, sceso su di noi con l’Ordinazione. Lo Spirito Santo, infatti, come costituisce il principio della missione del Messia, così è anche il principio della missione di tutta la Chiesa e della nostra missione di presbiteri. Quest’ultima, allora, è un “fatto spirituale”».

È nella docilità allo Spirito «che la nostra vita di presbiteri va’ vissuta ogni giorno di più nella logica di quel radicalismo evangelico che trova nell’obbedienza, nella castità e nella povertà una sua espressione privilegiata e preziosa. È nella docilità allo Spirito che la nostra vita di presbiteri può e deve essere un autentico cammino di santità. L’obbedienza al ministero “dato” dal Vescovo può risultare talvolta non poco faticosa, ma è pur sempre liberante. Lo è perché esprime e fa maturare la libertà interiore del presbitero nel suo amore a Cristo e alla Chiesa. È questa la libertà che dobbiamo imparare da Gesù stesso».

Redazione Zerottouno News

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