Mondiale, Maradona shock: “c’è una mafia che porta al traffico dei calciatori”

Francesco Amato Francesco Amato10 Luglio 20181 min

di Francesco Amato. Il Mondiale di Russia 2018 giunge ormai al termine, in questi giorni si completerà l’accoppiamento per la finale di Mosca. Dopo i due match di semifinale sapremo chi si contenderà in finale la coppa del mondo. La prima finalista è la Francia (1-0 sul Belgio), ora Croazia ed Inghilterra dovranno contendersi l’altro posto.

Negli scorsi giorni ha però parlato Diego Armando Maradona, colui che incarna i mondiali per eccellenza dopo la sua impresa in Messico nel 1986 con la sua Argentina. El Pibe è intervenuto durante la trasmissione “De la Mano del Diez” in onda su Telesur ed ha parlato della tematica degli oriundi, come sempre senza peli sulla lingua e ha evidenziato come nelle quattro nazionali arrivate alle semifinali sia veramente alto il numero di questi calciatori. Gli oriundi al mondiale sono stati 83, il numero più elevato di sempre in una competizione del genere.

Maradona ha parlato di questa situazione alla sua maniera, accostando la presenza di molti oriundi provenienti dall’Africa alla mafia, creando in questo modo non poche polemiche, il Pibe de oro si è espresso così : ”Credo che nessuno possa dirmi qualcosa se affermo che questo è il Mondiale con la più alta percentuale di immigrati della storia. La Francia è composta per il 70% da immigrati. Spesso sono ragazzi che vivono in condizioni precarie e sono attratti dall’avere quattro pasti al giorno e opportunità che nel loro Paese d’origine non avrebbero mai. C’è una mafia dietro a questo sistema che porta i calciatori africani a essere naturalizzati. Il traffico di calciatori è terribile, ormai ha raggiunto livelli incredibili in tutte le federazioni”

Francesco Amato

Francesco Amato

Classe 1998, studente di Lingue e Letterature Straniere all'Università degli Studi di Salerno. Appassionato di musica, comunicazione digitale e giornalismo. Giornalista pubblicista dal 2020. Una frase che lo identifica? "Non si scrive perché si ha qualcosa da dire ma perché si ha voglia di dire qualcosa”.

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