L’allucinante passaggio all’horror del maestro Dario Argento: “Profondo Rosso”

Vittorio Paolino Pasciari Vittorio Paolino Pasciari31 Ottobre 202011 min

Profondo Rosso è un film del 1975 di genere thriller-horror scritto e diretto da Dario Argento che ha per interpreti principali David Hemmings (Marcus ‘Marc’ Daly), Daria Nicolodi (Gianna Brezzi), Gabriele Lavia (Carlo), Clara Calamai (madre di Carlo), Eros Pagni (commissario Calcabrini), Macha Méril (Helga Ulmann), Giuliana Calandra (Amanda Righetti) e Glauco Mauri (professor Giordani). La pellicola segna, all’interno del percorso artistico del regista, il passaggio fondamentale tra la fase thriller iniziata nel 1970 (L’uccello dalle piume di cristallo) a quella horror intrapresa nel 1977 (Suspiria). Con un incasso di circa 3 miliardi e 700 di vecchie lire il film dalla sua uscita ebbe un notevole successo di pubblico, lodato in particolare per gli effetti speciali curati anche da Carlo Rambaldi (E.T.) e la musica del gruppo rock progressive dei Goblin in collaborazione con il pianista jazz Giorgio Gaslini.

TRAMA Il giovane pianista Marc Daly si ritrova testimone involontario dell’omicidio di una medium che in precedenza, durante una conferenza pubblica in un teatro, aveva avvertito fra il pubblico la presenza di un assassino intenzionato a uccidere ancora. Ritrovatosi In una situazione di estremo pericolo e di fronte alla superficialità della polizia, Marc decide di svolgere da sé delle indagini per scoprire chi è il misterioso omicida che ora inizia a perseguitarlo. Con l’aiuto di Gianna, un’ambiziosa giornalista, il pianista viene a conoscenza di un mistero che aleggia intorno ad una villa nei pressi di Roma, luogo dove in molti ritengono che circolino i fantasmi di un efferato delitto avvenuto tempo addietro e mai scoperto. Ma la verità che si cela dietro il mistero è più contorta ed inquietante e la mano omicida è più vicina di quanto non immagini l’ignaro Marc.

ANALISI DEL FILM L’azione scorre alternando brevi e quasi fugaci dialoghi con scene in cui il suono e le immagini mostrano i punti di forza del prodotto in celluloide, mentre gli attori ammutoliscono spaventati. Una trama classica per il genere reso celebre da Hitchcock contribuisce a tenere alta la suspense grazie ad un sapiente uso della macchina da presa che spazia dai primi piani a vedute ad ampio raggio creando effetti più che efficaci ad alimentare la climax di tensione fino allo scioglimento finale. Ma oltre al brivido dell’attesa, si denota una particolare attenzione a risvegliare, nella pause e soprattutto nelle scene delle uccisioni, la paura attraverso un elemento, quello emotivo-infantile, che perfettamente calato in un contesto noir e macabro, anticipa la virata definitiva del regista che qui, se ancora in fase sperimentale, comunque riesce ad offrire al pubblico qualcosa di unico ed inimitabile per i veri cultori delle forti emozioni.

THRILLER-HORROR ALL’ITALIANA  Mario Bava, Lucio Fulci, DARIO ARGENTO… basterebbe nominare questi signori per ricordare che in un determinato periodo (gli anni ’70 – ’90 dell’ormai lontano XX secolo) anche il cinema nostrano è stato un tempio ed una scuola per generi come il giallo, il thriller e l’horror. Abbiamo già avuto modo di omaggiare qui uno dei tre registi citati poc’anzi (Lucio Fulci, Non si sevizia un paperino) e adesso, in occasione della notte di Halloween (De Luca ci permetta: ognuno stia casa con un libro o un film a tema evitando assembramenti!) parliamo del più ‘giovane’ di questa triade.

Dario Argento (Roma, 7 settembre 1940) soprannominato Maestro del brivido – massimo rispetto per l’unico e solo Alfred Hitchcock! – ha dedicato quasi tutta la sua produzione al cinema di genere horror e thriller. Fin dai suoi esordi il regista romano trasmette e proietta nelle sue opere le proprie paure, concentrandosi sui meccanismi della suspense (thriller) e del terrore (horror) e nelle sue prime opere si intravedono i primi esempi di giallo all’italiana.

Abbandonato il liceo classico, il futuro regista si trasferisce a Parigi dove resta per circa un anno vivendo di espedienti e lavorando anche come lavapiatti. Torna in Italia nel 1957 ed inizia a collaborare con L’Araldo dello Spettacolo, occupandosi di teatro, cinema e musica. Fra le sue passioni cinefile si annoverano il cinema espressionista, la Nouvelle Vague, ovviamente gli horror e i gialli, gli spaghetti-western e registi come, per l’appunto, Alfred Hitchcock, Antonioni e Fellini. Ottenuto un posto come critico cinematografico presso il quotidiano romano Paese Sera, con le sue recensioni si schiera nettamente a favore del cinema di genere (western, thriller, horror, fantascienza) procurandosi una rottura con la critica ufficiale. Fra il 1966 ed il 1969 collabora alla stesura di copioni di diversi film di genere, fra cui si segnala la stesura del soggetto con Bernardo Bertolucci e Sergio Leone per un immortale capolavoro come C’era una volta il West.

Elementi che caratterizzano il suo cinema come la cura per il dettaglio, il gusto per l’illuminazione e le lunghe sedute per il trucco, Argento le eredita dalla madre Elda Luxardo (1915-2013), fotografa di moda brasiliana, quando da bambino si trattiene spesso nel suo studio rimanendone affascinato. Il padre, Salvatore Argento, fu produttore cinematografico di origini siciliane che finanziò tutti i primi film del figlio.

Il debutto ufficiale dietro la macchina da presa è collocato nel 1970, quando scrive e dirige il frammisto giallo-thriller-noir L’uccello dalle piume di cristallo, primo capitolo della cosiddetta Trilogia degli animali che prosegue con Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio, usciti entrambi nel 1971. All’epoca viene definito dal critico Roberto Pugliese “un sasso nello stagno del cinema italiano” e già qui si notano i tratti di quello che poi diventa lo stile di Argento: tecniche di ripresa (stacco dal piano lungo al primo piano, primissimi piani su oggetti e occhi), ossessione per i dettagli, importanza data alla fotografia (tonalità di certi colori, luci, inquadrature) e alla colonna sonora (quasi sempre allucinante), rumori amplificati, ricorso al montaggio alternato (fotogrammi che anticipano la sequenza successiva), scarsità di dialoghi, frammentazione delle location in città diverse con conseguente indeterminatezza geografica dell’azione, senso di avulsione dalla realtà circostante, presenza di sketch umoristici in stile hitchcockiano, l’enigma tipico del giallo, l’interesse per le psicopatologie e, infine, la descrizione dettagliata delle azioni dell’assassino (in genere indossa impermeabile, cappello e guanti di pelle). Il successo ottenuto con questo e con gli altri due capitoli della Saga degli animali gli valgono il soprannome di Hitchcock italiano.

Dopo una breve parentesi nel 1973 sul piccolo schermo per la Rai (quattro film per la tv) e nel filone storico (Le cinque giornate) viene l’anno della svolta. Nel 1975 esce il suo maggior successo in Italia e all’estero, Profondo Rosso, che segna il punto di arrivo di un percorso di sperimentazione nel thriller. Il debutto definitivo nell’horror avviene nel 1977 con l’uscita di Suspiria, fiaba gotica moderna oggi ritenuto una delle prime opere dell’espressionismo cinematografico.

Il periodo compreso fra gli ’80 e i ’90 vede un alternarsi fra thriller ed horror in capolavori come Inferno (1980), Tenebre (1982), Phenomena (1985) e Opera (1987) mentre un degno omaggio ad Edgar Allan Poe è la collaborazione nel 1990 con il papà degli zombie movies, George A. Romero (La notte dei morti viventi, 1969) per Due Occhi diabolici. Due thriller di rilievo, Trauma (1993) e La sindrome di Stendhal (1996), ed un remake di un classico horror, Il fantasma dell’Opera (1998) vedono nel ruolo di protagonista femminile la figlia del regista, Asia Argento, bellissima ed intrigante ancora oggi. Degli anni duemila sono da ricordare i due thriller Non ho sonno (2001) e Il Cartaio (2004) mentre nel 2007 Argento torna all’horror dirigendo ancora la figlia Asia ne La Terza Madre che conclude la Trilogia delle Tre Madri iniziata con Suspiria. Il 27 marzo 2019 il regista riceve il Premio Speciale alla carriera ai David di Donatello.

OMAGGIO INVOLONTARIO A NOLA?  In una scena in cui il pianista Marc si reca nella Biblioteca del folklore e delle tradizioni popolari e sta leggendo un libro di racconti che poi lo condurrà alla “villa del bambino urlante” si può notare la presenza di qualcosa che fa battere il cuore dei nolani che amano (davvero) la loro festa che si celebra ogni anno (non in questo sventurato 2020, ahimè) nel mese di giugno. La scena, collocata precisamente al minuto 59’ del film, mostra dopo un primo piano sulla pagina del libro un’inquadratura ad ampio spazio in cui si vede il protagonista in una sala dove a fare da oggetti di arredamento ci sono delle riproduzioni dei Gigli di San Paolino. Le riprese sono state girate all’interno del Museo delle Civiltà di Roma situato a Piazza Marconi all’Eur ed il luogo è oggi arricchito da testimonianze materiali (bozzetti e frammenti) riguardanti, oltre i Gigli di Nola, anche la Macchina di Santa Rosa, la Varia di Palmi, i Ceri di Gubbio e i Candelieri di Sassari.

BRIVIDI E PAURA In sostanza, sia come letteratura sia come cinema, il genere thriller (dall’inglese to thrill, “rabbrividire”) quasi per sua natura coincide spesso con il noir, il giallo ed il poliziesco. Scopo principale di questo genere di storie è sfruttare la tensione, la suspense e l’eccitazione, mantenendo il pubblico sul filo del rasoio, alterando e sconvolgendo un’apparente tranquillità con l’improvvisa introduzione di azioni culminanti spesso in crimini a volte violenti fino allo scioglimento finale. Quando si parla di horror (dal latino horror “orrore / spavento”) non è raro trovare in esso elementi che lo avvicinano al thriller. Il risultato ricercato è soprattutto suscitare un senso di terrore, sconfinando spesso in un contesto soprannaturale e fantasy dalle tinte oscure, nell’animo dello spettatore ma soprattutto offrendo la possibilità di superare, affrontandole a viso aperto, le paure peggiori che albergano nell’animo umano.

Capostipite di un genere e considerato il capolavoro assoluto di Argento grazie soprattutto alla musica inconfondibile dei Goblin (assordante ed indimenticabile) e ad un magistrale utilizzo della cinepresa nel riprodurre il crescendo di tensione e paura in ambienti chiusi stretti e larghi, Profondo Rosso ancora oggi è ritenuto dai cultori un cult-movie ineguagliabile e un punto di riferimento non soltanto per il suo genere di appartenenza. Nonostante l’innegabile successo di pubblico, il film alla sua uscita fu accolto freddamente dalla critica ma è stato completamente rivalutato nel 2006 quando Roberto C. Provenzano lo inserisce nell’Enciclopedia del Cinema Garzanti con questa descrizione:

“Summa e manifesto del thriller barocco e visionario del regista che crea la formula di un genere misto thriller-horror che influenzerà non pochi autori nazionali e internazionali.”

Una possibile ragione per la diffidenza dei critici (che mai la smettono di essere bacchettoni!) potrebbe essere proprio ciò che rende il prodotto di Argento qualcosa di non ancora classificabile perché, questo è il suo punto di forza, fonde magistralmente due elementi che in fondo non sono tanto agli antipodi: la tensione che fa rabbrividire quasi per natura suscita anche un senso di terrore che dove viene solo accennato (thriller) altrove viene invece accentuato (horror). Ogni grande artista, del mondo in celluloide qui, deve trovare nuovo slancio quando ormai sente di aver dato tutto in un determinato ambito ed il risultato è sicuramente da apprezzare come via d’accesso ad un nuovo cinema in cui innegabilmente Argento dimostra di essere un Maestro.

CLASSICO IMMORTALE, ALLUCINANTE ED INTRIGANTE.

Vittorio Paolino Pasciari

Vittorio Paolino Pasciari

Classe '86, nolano DOC. Laureato in Lettere Classiche, appassionato di cinema, letteratura e teatro.

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