Il sole caldo di una mattinata estiva accarezzava le antiche pietre di Roscigno Vecchia mentre la vecchia Panda, guidata con la consueta curiosità da Nicia e dalla saggezza di sua madre, si fermava ai margini di questo borgo fantasma. L’aria vibrava di un silenzio denso, quasi sacro, rotto solo dal fruscio leggero del vento tra le erbacce che avevano riconquistato le vie. Nicìa, con i suoi occhi attenti e indagatori, scese dall’auto, sentendo subito il fascino malinconico di questo luogo sospeso nel tempo. Sua madre, con un sorriso dolce e un velo di tristezza nello sguardo, le prese la mano. Sapevano che Roscigno Vecchia non era un borgo come gli altri: era un libro di pietra aperto sulle pagine della storia, un monito silenzioso sulla fragilità della vita e la forza inesorabile della natura.
Sua madre, con un sorriso dolce e un velo di tristezza nello sguardo, le prende la mano. Già prima di arrivare, sapevano che Roscigno Vecchia non era un borgo come gli altri: era un libro di pietra aperto sulle pagine della storia, un monito silenzioso sulla fragilità della vita e la forza inesorabile della natura. “Guarda, Nicia – sussurra sua madre, indicando le case di pietra grigia che si ergono ancora fiere, nonostante il tetto in parte crollato e le finestre cieche – Queste mura hanno visto nascere e morire generazioni, hanno ascoltato risate e pianti, hanno resistito al vento e alla pioggia per secoli”.
Percorrono lentamente la via principale, ora un sentiero sconnesso invaso dalla vegetazione spontanea. Nicia immaginava le donne che si affacciavano dai balconi fioriti, gli uomini che tornavano dai campi con la fatica negli occhi, i bambini che rincorrevano un pallone tra le case. Lì, nell’entroterra salernitano, in mezzo al mare e alle campagne, a un passo dai centri abitati. Il silenzio del presente rendeva quelle immagini ancora più vive. Si soffermano davanti alla vecchia chiesa, con la facciata scrostata e il portale sormontato da un arco in pietra consumato dal tempo. Nicia scruta l’interno attraverso una fessura, intravedendo l’ombra e immaginando la luce delle candele che illuminavano le preghiere dei fedeli, l’eco dei canti sacri che si elevava verso il cielo.
“Si dice che le origini di Roscigno siano molto antiche, Nicia – racconta sua madre, appoggiandosi a un muro secolare – Forse addirittura di epoca romana. Questa posizione strategica, su questa altura, permetteva di controllare la valle sottostante“. Nicia immaginava, mentre ascoltava, i legionari romani che percorrevano queste stesse strade, le loro armature scintillanti sotto il sole.
Proseguendo la loro esplorazione, si imbattono nei resti di un antico palazzo signorile con eleganti finestre ad arco e un portale in pietra lavorata, testimonianza di un passato di prosperità e nobiltà. Nicia tocca le incisioni sbiadite sulla pietra, cercando di decifrare i simboli, di ricostruire la storia delle famiglie che avevano abitato quelle stanze.
La vera particolarità di Roscigno Vecchia, però, è la sua storia più recente, quella di un abbandono forzato a inizio Novecento a causa di una frana che minacciava l’incolumità del borgo. “Immagina, Nicia – dice ancora sua madre con un tono grave – dover lasciare la propria casa, i propri ricordi, la propria vita per la paura della montagna che si muove“. Camminando tra le case vuote, Nicia sente il peso di quella decisione, il dolore di una comunità spezzata. Ma, allo stesso tempo, percepisce anche una sorta di dignità silenziosa in quelle mura che, nonostante l’abbandono, continuavano a ergersi, testimoni di una resilienza umana profonda.
Salgono fino al punto più alto del borgo, dove un tempo sorgeva il castello, di cui oggi rimangono solo poche rovine. Da lì la vista sulla valle è spettacolare. Nicia ammira il paesaggio circostante, le montagne che si susseguivano all’orizzonte, il verde intenso della natura che aveva lentamente ripreso possesso del borgo.
“Vedi, Nicia – conclude sua madre, indicando il panorama – anche nella tristezza dell’abbandono, c’è una bellezza potente. La natura si riappropria dei suoi spazi, il tempo lascia il suo segno, ma la storia rimane incisa in queste pietre“. Mentre il sole inizia a calare, Nicia e sua madre si siedono su un vecchio muretto, abbracciate dal vento leggero. E’ il momento di contemplare Roscigno Vecchia: un prezioso scrigno di storia, un monito sulla fragilità e la forza della vita, una bellezza silenziosa che parlava al cuore.