Il referendum è lo strumento con cui la voce dei cittadini si può far sentire nelle decisioni politiche. In Italia, questo meccanismo di democrazia è previsto nella Costituzione, che ne fissa regole e confini: non si vota su tutto, ma su alcune questioni cruciali sì e quando accade, sebbene siamo tutti scettici al riguardo, può cambiare la storia. Nella storia italiana è successo tante volte.
Il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 rappresentò un passaggio storico fondamentale. Per la prima volta dopo vent’anni di regime fascista, gli italiani furono chiamati alle urne per decidere le sorti della nazione: continuare con la monarchia sabauda, segnata dalla complicità con il fascismo, o voltare pagina e fondare una Repubblica. Inoltre, fu anche la prima volta in cui le donne furono chiamate alle urne e ad avvalersi del diritto di voto in una consultazione nazionale. Già nelle elezioni amministrative dello stesso anno più di due milioni di donne italiane si recarono ai seggi elettorali. Era la fine di un’esclusione storica e l’inizio di una nuova stagione politica. Una conquista ottenuta grazie alle battaglie di movimenti femministi e a personalità come: Teresa Mattei, Nilde Iotti e Lina Merlin. Il risultato (con oltre 12 milioni di voti per la Repubblica e con circa 10 milioni per la monarchia) condusse alla nascita della Repubblica. Un esito raggiunto non senza tensioni: la famiglia reale lasciò il Paese pochi giorni dopo, mentre la neonata Repubblica, ancora devastata dalla guerra, si apprestava ad eleggere l’Assemblea Costituente, da cui poi nacque la Costituzione del 1948.
Negli anni Settanta, i referendum divennero uno strumento di cambiamento radicale. Nel 1974, il popolo italiano fu chiamato a decidere se abrogare la legge sul divorzio, introdotta nel 1970. La Democrazia Cristiana e i settori più conservatori della società erano favorevoli all’abolizione della legge, ma il 59,3% degli italiani votò per mantenerla. Fu una vittoria laica, che sancì il diritto al divorzio e mostrò un’Italia più moderna e pluralista di quanto si credesse.
Ancora più acceso fu il dibattito attorno al referendum del 1981 sull’aborto. Anche in questo caso, l’intento era abrogare la legge 194 del 1978, che legalizzava l’interruzione volontaria di gravidanza. Il 68% degli elettori scelse di mantenere la legge. Fu un’altra conferma del cambiamento culturale in corso nel Paese.
Negli anni più recenti, altri referendum hanno assunto un valore simbolico. Nel 2011, oltre 27 milioni di italiani votarono per mantenere pubblica la gestione dell’acqua e per dire di no al ritorno al nucleare. Una forte affermazione della volontà popolare su temi ambientali e di interesse collettivo, segnata dal disastro di Chernobyl. Nel 1987 fu anche approvata la responsabilità civile dei magistrati, sebbene poi ridimensionata nella pratica.
Negli ultimi anni, la partecipazione ai referendum ha mostrato un progressivo e preoccupante calo. Il referendum costituzionale del 2016, proposto dal governo Renzi, vide una partecipazione alta (oltre il 65%), ma si concluse con una bocciatura netta della riforma. Più recente e più disertato quello del 2022 sulla giustizia, che non raggiunse il quorum.
Eppure, lo strumento referendario rimane una delle massime espressioni della democrazia diretta, un’occasione, oggi spesso volte mancata, per cambiare le carte in tavola. Occhio adesso al referendum dell’8 e 9 giugno 2025.