Ritrovarsi a Tashkent: la magia dell’Uzbekistan

Storia di un viaggio nel cuore dell'Uzbekistan

di Luca Marro

Oggi mi sono svegliato con tutte le buone intenzioni del mondo. Mi sento pronto a scrivere qualcosa di bello e di allegro, ma non ce la faccio. Stamattina mi è successa una tragedia. No, non sto parlando della guerra, dell’Iran, di Israele o della Russia. Peggio. Mi è uscito il primo capello bianco. Il primo della mia giovanissima vita. Panico totale. Sto diventando vecchio. È stata una cosa graduale, però, questo fatto di invecchiare. Talmente graduale che non me ne sono neanche accorto.  Mentre stavo lavorando per darmi questa nuova identità di viaggiatore riflessivo, mi sono ritrovato invecchiato di quarant’anni. Come è possibile questa cosa? Forse viaggio troppo. A proposito, mi sono trasferito in Uzbekistan. Devo fare una piccola parentesi su Tashkent, almeno mi metto a scrivere qualcosa di positivo. Onestamente, non lo so perché ci sono andato a vivere. Avevo questa sensazione che ci avrei trovato quello che cercavo. E incredibilmente così è stato. Tipo quelle storie alla Paulo Coelho a cui nessuno crede. Ecco, proprio una di quella. Solo che stavolta era vera.

L’Uzbekistan: mai nella mia vita avrei pensato che ci sarei andato a vivere. Fino a dieci giorni fa non sapevo neanche dove si trovasse. Questa mia ignoranza mi ha aiutato un sacco a farmi piacere Tashkent. Non sapendo cosa aspettarmi, appena ho messo piede ho avuto la sensazione di essere finito in un altro mondo. Qualcosa tipo il film di Aladdin o in un racconto de “Le mille e una notte”.

Mi sono detto: “ah, finalmente un posto in cui mi sento bene”. E le cose si sono allineate così perfettamente che dopo un po’ ho trovato pure il lavoro che volevo. Tutto bellissimo. Dovrei essere una favola, tipo come se stessi in un libro di Paulo Coelho. E invece no.

È là che sono andato in panico. Perché io, appena tutto va bene, mi faccio prendere dall’ansia. Cioè, no, non è giusto detto così. In un tipo di situazioni mi piace dare all’ansia ancora più controllo su di me. Non so se sono chiaro, ma pure se tutto va bene non mi do pace. Come se la tranquillità, alla fine di tutto, non dipendesse da quello che mi succede. E quindi comincio a distruggermi il cervello con domande assurde tipo: “E se il lavoro poi non mi piace?”, “E se mi rompo una caviglia la prima settimana e mi annullano il contratto?”, “E se alla fine non mi trovo bene in Uzbekistan?”

Ho evidentemente un problema. Ogni volta che mi succede qualcosa di buono, non so capace di godermela. Non ce la faccio a essere contento, mi pare sempre sia troppo presto per festeggiare. Quindi metto le mani avanti così se qualcosa di brutto mi succede sono pronto. Perchè faccio così? Forse mi metto in questa prigione mentale perchè ho paura di essere felice? Forse mi sono abituato a evitare la felicità per paura di essere deluso e ripeto sto schema in loop? Sarà qualche trauma infantile, forse adolescenziale?

Aspetta un attimo, ma io mi devo calmare un po’. Troppi forse. Mi gira la testa. Se continuo così vado a finire in una crisi esistenziale senza ritorno. Sono troppo giovane per i capelli bianchi. Ancora non mi cresce la barba. Respira, Reset. Fammi fare una battuta. Non mi esce niente. Mentre ci pensavo mi sono caduti pure tre capelli. Lascia stare. Devo cambiare discorso, Kevin De Bruyne è arrivato al Napoli. Ah, ora  mi sento meglio. Forza Napoli”

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