Le tradizioni sono sbagliate? No, ma non bisogna imporle

Luca Marro Luca Marro24 Aprile 20246 min

Stavo parlando con un amico e dopo aver discusso di roba importante, tipo “Sei uscito ieri sera?”, “Sei riuscito a trovare una ragazza?”, “L’hai baciata?”, la conversazione si è spostata su argomenti più leggeri. Ora non mi ricordo bene che ci stavamo dicendo, mi ricordo però che a un certo punto il mio amico ha cominciato a parlare del fatto che bisogna proteggere alcune tradizioni culinarie campane. Mi pare si riferisse ad un tipo di pasta particolare che delle vecchiette fanno in Cilento. Una roba che sta scomparendo negli ultimi anni. Non ne sono sicurissimo, perché appena ho sentito “protezione della tradizione” la mia mente si è bloccata. Il flusso di pensieri si è interrotto e con una sicurezza ignorante ho chiuso la conversazione con una massima stile Albert Einstein: “Sono contro tutto quello che è tradizionale. Io sono contro le tradizioni.”

E’ stata un’esperienza mistica, non sono mai stato così sicuro di qualcosa nella mia vita come in quel momento. Non sono nuovo a dire cose che non penso, mi capita un sacco di volte. Riesco sempre a trovarmi delle scuse quando mi succede: “faceva freddo”, “ero stanco”, “avevo fame”. In questo caso, però, non ero stanco, non avevo né fame né sete, non ero preso dalla situazione. Tutto era eccezionalmente normale. Se ho detto quello che ho detto è perché ci credevo al 100%. Non odio le tradizioni per moda, no. Il mio è un odio ragionato. Anche se poi in verità non è che ce l’ho con tutte le tradizioni. Sono contrario solamente alle tradizioni di casa mia. Le tradizioni locali, quelle napoletane. Anzi no, allargo il cerchio, quelle italiane.

La mia presa di posizione, infatti, cambia quando sono in viaggio. In quel caso le tradizioni locali non mi fanno schifo, il contrario. Mi diverto un sacco a scoprire le tradizioni culinarie, artistiche o sociali del posto in cui mi trovo. Non mi fermo a questo, molto spesso quello che cerco di fare è inglobarle al mio stile di vita.

Per esempio, quand’ero in Niger il venerdì nel giorno della preghiera mi vestivo sempre in maniera tradizionale, oppure quand’ero in Georgia mangiavo quasi sempre katchapuri e kinkali. Il mio odio ragionato non è poi così ben ragionato. Non sono sicuro perché le mie tradizioni mi facciano così schifo e quelle degli altri no. Penso che per capirmi meglio dovrei fare un passo indietro. Io dico a gran voce che odio le tradizioni, ma
che intendo per tradizioni? Quando mi sono fatto questa domanda la mia sicurezza ignorante ha un po’ vacillato. È strano come delle
domande così semplici riescano a mettere tutto in una prospettiva diversa. Molto spesso mi ritrovo a ripetere termini già sentiti per semplicità, non perché abbia idea di cosa stia dicendo.

Sento da sempre parlare di tradizioni e di quanto siano importanti. Allora ripeto quello che sento, ma lo personalizzo. Quando parlo di tradizioni voglio esprimere un dissenso al ruolo che gli è stato dato. Non utilizzo la parola per quello che è. Utilizzo il termine e lo assimilo per come l’ho sentito utilizzare per anni. Allora forse la mia interpretazione della parola va oltre il concetto stesso del termine. Mamma mia che ho detto? Sto pensiero è talmente contorto che mi è venuto un giramento di testa dopo averlo scritto. Alla fine, se ho capito una cosa da tutto sto ragionamento semi complicato è che devo aggiustare la mira. Devo farmi delle domande più personali altrimenti mi perdo: cos’è che odio in realtà?

Odio come le tradizioni invece di essermi state tramandate, in molti casi, mi siano state imposte. Come se invece di tradizioni si parlasse di verità assolute da accettare senza farsi troppe domande. Tradizione, nella mia concezione, equivale a dire che esiste un modo giusto di fare una cosa. Un modo giusto di comportarsi. In pratica, se seguiamo tutti la stessa tradizione, abbiamo tutti ragione. Nessuno sbaglia. Questo non mi piace. Più mi leggo e più mi accorgo che non odio le tradizioni. Scusa Alessandro, ti ho detto una bugia senza volerlo. Alessandro è l’amico mio che mi parlava della sua missione di voler salvare la pasta fatta dalle vecchiette che stanno morendo. Quello di cui parlavo all’inizio di questo pezzo. Quello che odio è questa ossessione sempre più crescente che il mio mondo ha verso le tradizioni. Come se fossero una fonte di verità, una fonte di salvezza dal caos del mondo. Certe tradizioni sembrano essere percepite nell’immaginario comune come dei precetti religiosi. La tradizione è giusta, va accettata, seguita e difesa.

Forse quello che intendo io per tradizioni è un concetto troppo ampio. L’odio che pensavo di provare verso tutto quello che è tradizionale è in realtà un odio verso un modo di pensare che mi circonda e mi ha circondato per troppo tempo. Ed è da qui che viene il mio risentimento. Negli anni mi sono adattato alla mia società e ai suoi precetti tradizionali. Ci ho creduto. Pian piano mi sono convinto anch’io che esistesse un cammino prestabilito capace di portarmi verso la direzione giusta. Un cammino sicuro, socialmente accettato, capace di darmi una sicurezza ignorante sul come comportarmi e su che direzione prendere. E più andavo avanti in questo cammino e più mi perdevo. Mi trovavo a dover rispettare regole che non capivo. Ma lo facevo senza farci troppo caso, perché alla fine non è che avevo troppo scelta.

Questo fin quando non sono andato incontro a nuove tradizioni, lontane dal mio posto. Le tradizioni degli altri mi piacciono perché mi danno una prospettiva nuova. Un altro modo di pensare. Sono la conferma di quanto il fondamento delle mie tradizioni e di tutto quello che viene considerato tradizionale sia possibilmente sbagliato, così come questa ossessione generale a riguardo. Vivere in un ambito diverso da quello a cui sono abituato mi ha fatto dubitare di me, delle mie sicurezze, delle mie verità, delle mie regole più di quanto non avrei mai potuto se non fossi stato continuamente in viaggio. Il punto per me non è quale tradizione è la migliore. Non penso che la tradizione degli altri sia migliore della mia.

Penso però che la tradizione degli altri mi stia aiutando a disintossicarmi dalla mia (piano piano), a capirla meglio, ad odiarla di meno e forse un giorno ad accettarla per quello che è. Senza addossarle tutto il carico emotivo che mi porto dietro. Questo per finire questo pezzo ma ancora devo affrontare la parte più interessante di tutto l’articolo. Alessandro, l’amico mio e delle vecchiette che stanno morendo, mi ha confessato tutto. Lo scorso weekend è riuscito a trovare una ragazza ed è riuscito a darle un bacio. Forse anche qualcosa di più, ma non è sceso troppo nei particolari. M’ha detto che è un gentleman, lui. Ecco così almeno tutti questi ragionamenti senza una risposta chiara si possono finalmente concludere su
una nota positiva, soprattutto per Alessandro.

Luca Marro

Luca Marro

Giovane ragazzo nonostante le rughe sotto agli occhi e la stempiatura che avanza. Poliglotta, nel senso che parla anche inglese e francese (tra un po' pure portoghese se tutto va bene). Appassionato di sport di combattimento. Cintura blu di jiujitsu brasiliano (che é giusto quella dopo la bianca). Lavora nel settore umanitario e viaggia per vivere. Ha un'indole nomade che ha scoperto da poco. Da qualche anno vive in Africa, al momento in Etiopia. Innamorato di Salomé e di scrivere (più di Salomè però). Stanco a giorni alterni. Creatore del blog "Apolidiàsi".

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