“Intervista col vampiro”: un cult cupo e suggestivo con Tom Cruise e Brad Pitt

di Vittorio Paolino Pasciari

Intervista col vampiro (Interview with the Vampire: The Vampire Chronicles) è un film di genere drammatico-horror del 1994 diretto da Neil Jordan e la pellicola è la trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo scritto da Anne Rice. Gli interpreti principali sono Tom Cruise (Lestat de Lioncourt), Brad Pitt (Louis de Pointe du Lac), Christian Slater (Daniel Molloy), Kirsten Dunst (Claudia), Antonio Banderas (Armand), Stephen Rea (Santiago), Domiziana Giordano (Madeleine), Thandie Newton (Yvette) e Sarah Stockbridge (Estelle).

Prodotto con un budget di ben 60 milioni di dollari, il film ha ottenuto un incasso globale di oltre 230 milioni di dollari, risultando un grandissimo successo al botteghino ed uno dei più grandi successi del suo genere che ha però raccolto pareri contrastanti dalla critica. Fra i riconoscimenti sono da annoverare numerose candidature internazionali, fra cui spiccano 2 nomination agli Oscar, miglior scenografia (Dante Ferretti e Francesca lo Schiavo) e miglior colonna sonora (Elliot Goldenthal), e 2 candidature ai Golden Globe, miglior attrice non protagonista (Kirsten Dunst) e miglior colonna sonora (Elliot Goldenthal). A queste si aggiungono fra i premi vinti il Nastro d’argento “miglior scenografia” (Dante Ferretti), il Premio BAFTA “miglior fotografia” (Philippe Rousselot) e “miglior scenografia” (Dante Ferretti) seguiti dai meno prestigiosi Mtv Movie Award “miglior performance” (Kirsten Dunst e Brad Pitt), Premio Blockbuster “miglior attore in film thriller/horror” (Tom Cruise) e il Razzie Award “peggior coppia” (Brad Pitt e Tom Cruise).

TRAMA   USA, San Francisco, 1993. Di notte, in un albergo malfamato il giornalista Daniel Malloy si accinge a registrare l’intervista ad un tenebroso e affascinante personaggio, Louis de Pointe du Lac: questi è intenzionato a raccontare la storia della sua vera natura e l’orribile esistenza a cui è stato condannato. Louis è un vampiro, e pertanto segnato da un’immortalità dannata, ma in principio egli era un essere umano nato e cresciuto nel XVIII secolo a New Orleans. Aristocratico e ricco proprietario terriero, in seguito alla morte della moglie e del figlio perse ogni attaccamento alla vita, considerandola inutile. Nel 1791, una sera, venne avvicinato da una figura misteriosa, Lestat de Lioncourt. Questi era un vampiro che aveva osservato attentamente il comportamento del disperato Louis e decise quindi di renderlo un vampiro come lui con lo scopo di avere un compagno e mostrarli i vantaggi di un’eterna non-vita. Una volta trasformato, Louis si dimostrò, a differenza e con disappunto di Lestat, un vampiro dotato ancora di sensibilità umana che aborriva la crudele natura della sua nuova esistenza. Il tormentato rapporto fra i due vampiri, opposti nel carattere quanto ormai legati dalla loro natura non-morta, si complicò ulteriormente con l’aggiunta di Claudia, bambina rimasta orfana di madre, assalita dallo stesso Louis e vampirizzata da Lestat. L’impossibilità di rinnegare la propria natura ha portato infine Louis ad eliminare Lestat e a cercare, in un viaggio assieme a Claudia, le risposte sull’origine dei vampiri. L’incontro a Parigi con il vampiro Armand e la tragica perdita di Claudia hanno sancito la perdita definitiva della propria umanità e condannato il disperato Louis ad una non-vita eterna.

ANALISI  L’azione scorre lenta scandita in una narrazione che procede per flashback. Una scenografia cupa anche quando è giorno ed interpretazioni impeccabili di stelle simbolo di un’epoca irripetibile sono i punti forti della trama che si può dividere in due momenti principali. Le tinte rosse del sangue tipiche dell’horror passano in secondo piano per esporre il dramma di un animo distrutto dal dolore per la perdita di amore e introdurre un personaggio in apparenza spavaldo ma ancora più disperato del primo protagonista. L’eterna illusione offerta da un’immortalità dannata rivela il profondo vuoto che il piacere vissuto fino all’estremo può solo nascondere ma non cancellare. L’introduzione di una terza anima condannata per colmare il vuoto di un’esistenza fine a sé stessa chiude la prima parte della narrazione. Nella seconda parte subentra il bisogno di ritrovare sé stessi e la conclusione dell’intervista al protagonista sopravvissuto è occasione per sancire l’inevitabile condanna di chi, volente o incosciente, ha scelto una via deviata. L’amaro finale prima dei titoli di coda è una schietta ed efficace denuncia all’atavica superficialità dell’essere umano mai pago della propria natura mortale.

HORROR, FEDE E IRLANDA  La scrittrice statunitense Anne Rice (1941-2021) nasce a New Orleans da padre americano e madre di origine irlandese. Fin dall’infanzia coltiva la passione per la scrittura e rimane affascinata dal mondo del paranormale. Profondamente cattolica, come i genitori, con l’avvento dell’adolescenza inizia a mettere i discussione la propria fede e dopo la morte della madre, quando ha solo quindici anni, è costretta a lasciare la sua città natale – contesto di molti dei suoi romanzi – e si trasferisce in Texas. Del 1961 è il matrimonio con il poeta Stan Rice (morto di cancro nel 2002) ed è a lui che l’autrice si ispira per il suoi personaggio più celebre: Lestat de Lioncourt. Nel 1966 la coppia ha una figlia, Michelle, morta di leucemia cinque anni dopo e nel 1978 nasce il secondo figlio, Christopher Travis Rice,  anche lui autore di due romanzi (A Density of Souls – The Snow Garden). Sotto gli pseudonimi di Anne Rampling e A.N. Roquelaure la scrittrice ha pubblicato rispettivamente due storie a sfondo religioso (Exit to Eden – Belinda) e una serie di romanzi erotici (The Beauty Series).

L’autrice pone sempre particolare attenzione alla sessualità umana ritenendo che ogni essere umano è per natura bisessuale e dopo quasi quarant’anni di ateismo in un – sue parole testuali – “universo nichilista” nel 1998 è tornata alla fede cattolica della sua infanzia. La riscoperta della fede porta la Rice a cambiare registro nella sua produzione puntando sui romanzi storico-religiosi. Christ the Lord: Out of Egypt (2005) e Christ the Lord: Road to Cana (2007) sono storie basate sul Vangelo che hanno riscosso un certo successo mentre Called Out of Darkness è un saggio in cui descrive la sua conversione: un viaggio dentro l’ateismo per ritornare a Dio, un tentativo di stabilire ciò che è buono e ciò che è cattivo in un mondo ateo attraverso la lotta fra fratelli e sorelle in un mondo senza padri né madri credibili.

Alla fine del 2010 la Rice si distacca definitivamente dalla Chiesa cattolica, pur continuando a definirsi credente, giustificando la sua scelta con una serie di post diffusi sul profilo Facebook:

Nel nome di Cristo mi rifiuto di essere anti-gay, di essere anti-femminista, di essere contro il controllo delle nascite, di essere anti-democratica, di essere contro l’umanesimo laico. Mi rifiuto di essere contro la scienza, di essere contro la vita. La mia conversione da atea pessimista, persa in un mondo che non capivo, a ottimista credente in un universo creato e sostenuto da un Dio amorevole è fondamentale per me. Ma seguire Cristo non significa seguire i suoi seguaci. Cristo è infinitamente più importante della cristianità e lo sarà sempre, non importa ciò che il cristianesimo è, è stato, o può diventare”.

L’11 dicembre 2021 è il figlio Christopher ad annunciare, tramite post sulla pagina Facebook di Anne Rice, la morte della scrittrice all’età di 80 anni, per complicazioni dovute ad un ictus.

“Non si può avere amore e bontà quando si fa ciò che si sa che è male, ciò che si sa essere sbagliato. Si può solo avere la disperata confusione, nostalgia e ricerca di un’illusoria bontà in forma umana. Ero dannato nella mia mente e nella mia anima. Tu mi mostrasti la sola cosa che io potessi davvero sperare di diventare, in quale abisso di male e di freddezza avrei dovuto calarmi per porre fine al mio dolore. E lo accettai”.

 

Anne Rice rimane nota soprattutto come autrice di romanzi gotici, horror e fantasy, i cui protagonisti sono prevalentemente vampiri (Cronache dei Vampiri) e streghe (Le Streghe di Mayfar) e con oltre 100 milioni di copie risulta una delle autrici più vendute al mondo. Il suo romanzo più celebre, Intervista con il Vampiro, scritto nel 1973 viene pubblicato nel 1976 e costituisce il primo romanzo della serie Cronache dei Vampiri composta da 13 capitoli (1976-2018) con protagonista il vampiro Lestat de Lioncourt. Il romanzo ottiene un rapido successo diventando in breve tempo un best seller che ha riscritto e dato nuova linfa all’immaginario comune sull’idea stessa di vampiro. La prima edizione italiana, tradotta da Margherita Bignardi,  esce nel 1977 per l’editore Bompiani cui segue, stessa traduzione, quella per Salani nel 1993. Due edizioni più recenti sono quelle per TEA editore nel 2005 e nel 2020, tradotte sempre dalla Bignardi.  La traduzione della Bignardi offre una storia scandita in una lettura che, procedendo attraverso il flashback del protagonista-voce narrante, si avvale di uno stile dove descrittivo e introspettivo (narrazione in prima persona di eventi passati per delineare i caratteri) procedono paralleli e possono mettere a dura prova i lettori non allenati con i Classici di fine ‘800 – inizio ‘900.

IRLANDA IN CELLULOIDE  Il regista, sceneggiatore, produttore cinematografico e scrittore irlandese Neil Patrick Jordan (Sligo, 25 febbraio 1950), figlio di un professore universitario, coltiva la passione per la scrittura dopo aver frequentato la St. Paul’s School di Clontarf a Dublino e riscuote notevoli successi in patria. Le prime esperienze come sceneggiatore sono due film per la televisione rispettivamente nel 1979 (Miracles & Miss Langan) e nel 1981 (Traveller). Il debutto dietro la macchina da presa sul grande schermo avviene nel 1982 (Angel). Grande amico di Bono Vox e della produttrice Ali Hewson, nel 1992 è membro della giuria al Festival di Venezia. Il 1993 è l’anno della svolta: per il suo film più famoso (La moglie del soldato) il regista irlandese ottiene la nomination al Premio Oscar miglior regista e si aggiudica la statuetta miglior sceneggiatura.

Nel 1994 dirige le star Tom Cruise e Brad Pitt assieme ad una allora dodicenne Kirsten Dunst nel dramma horror Intervista con vampiro, che però divide la critica. Il ritorno al trionfo è nel 1996 con il biopic Michael Collins che vale al regista il Leone d’oro al Festival di Venezia, successo replicato l’anno successivo con l’Orso d’argento “miglior regista” al Festival di Berlino per The Butcher Boy. Neil Jordan è considerato uno dei registi contemporanei con maggior talento e la sua attività prosegue tutt’ora spaziando fra letteratura, televisione e cinema.

UN SET TORMENTATO  Se drammatica e tormentata è la storia qui descritta, altrettanto turbolenta è stata la realizzazione del film. L’autrice Anne Rice, che curò anche la sceneggiatura del film, pensò in un primo momento ad Alain Delon e Rutger Hauer per il ruolo dei due vampiri Louis e Lestat: per quest’ultimo inizialmente fu ingaggiato Daniel Day-Lewis, che dopo alcune settimane vi rinunciò, e si pensò a Johnny Depp, che però rifiutò lasciando infine spazio a Tom Cruise. Per il ruolo del giornalista Daniel Malloy venne ingaggiato River Phoenix, ma il giovane talento morì un mese prima dell’inizio delle riprese, e quando fu scelto Christian Slater quest’ultimo decise di donare gran parte del suo salario alle organizzazioni di beneficenza a nome dello scomparso Phoenix (l’attore viene ricordato nei titoli di coda).

Lo stesso Brad Pitt in una recente intervista ha confessato le difficoltà legate alle pesanti e lunghe sedute di trucco sul set e a dover girare costantemente scene al buio e in spazi chiusi: l’attore arrivò ad un passo dall’abbandonare il film ma i produttori lo convinsero a rimanere con una penale di circa 40 milioni di dollari in caso di abbandono del set. Alle difficoltà tecniche si aggiunge il rapporto non idilliaco fra Cruise e Pitt che – parole del primo – pare non avesse particolare cura della propria igiene rifiutandosi di usare il deodorante. La stessa Kirsten Dunst, all’epoca star in erba di appena 12 anni, se da un lato ha dichiarato di sentirsi fortunata ad aver partecipato ad un progetto in cui ha potuto esplorare la sua femminilità, allo stesso tempo ha più volte ribadito che quello che sembrava – e sembra tutt’ora – il sogno di tutte le ragazze, ovvero quello di baciare Brad Pitt, per lei si rivelò un trauma superato solo a 16 anni perché – sue testuali parole – gli sembrò di baciare un fratello maggiore.

Abbiamo già avuto modo di presentare la fascinosa ed intrigante figura del non-morto succhiasangue attraverso un capolavoro del cinema muto (Friedrich Wilhelm Murnau, Nosferatu il vampiro, recensione qui) e grazie ad un’autrice napoletana capace come poche di emozionare (Sabrina Pennacchio, trilogia Dark And Light recensione qui). Fra leggende, pagine e celluloide e con tutte le varianti possibili, immaginabili e costruite ad arte, quella dei vampiri (homines nocturni), creature dotate di poteri soprannaturali che sopravvivono nutrendosi di sangue, anime, carne umana in un’immortalità ed eterna giovinezza, è una figura protagonista di mitologie che da millenni dominano il folklore di culture in ogni angolo del mondo abitato dall’estremo e medio oriente (indù, mesopotamica, ebraica, asiatica) fino all’Europa antica (Grecia e Roma) e soprattutto dal XVIII secolo quando cominciano a diffondersi storie e superstizioni dall’est (Romania e Balcani) che ispirarono i primi Classici del romanzo gotico.

Se con John Polidori (Il vampiro, 1819) e soprattutto con Bram Stoker (Dracula, 1897) si raggiunge il culmine moderno di leggende e superstizioni antiche, con Anne Rice si aggiunge quel tocco di noir che rende ancora più valida la lezione offerta dalla vicenda di anime dannate sulla superficialità umana che non accetta la sua natura mortale. Con una struttura circolare attraverso spazio e tempo (San Francisco, XX secolo – New Orleans, Parigi, XVIII secolo – New Orleans, San Francisco, XX secolo) che sfrutta al massimo le tonalità cupe del gotico e può contare su interpreti impeccabili per descrivere animi tormentati (Louis) e sfrontati ma in realtà rassegnati (Lestat), la trasposizione di Neil Jordan riesce a catturare e coinvolgere lo spettatore rispettando e se possibile incrementando la suggestione dell’opera della Rice nell’aggiungere alla figura tradizionale del vampiro nuove e profonde sfumature che lo rendono più umano. Allo stesso tempo l’illusione di una vita immortale e dannata esposta dal punto di vista di una creatura della notte offre la possibilità di far riflettere sulla magica illusione del cinema stesso.

L’ossessiva paura della morte che fa deviare prima nella depressione, poi nell’illusoria seduzione di una immortalità apparente, infine nella condanna alla disperazione eterna risulta perfettamente riflessa nella figura del vampiro. Superare la paura della morte – per non dire la paura in ogni sua forma – non significa altro che accettarne l’esistenza e andare avanti godendo del poco tempo a disposizione nella sola ed unica vita che ci viene concessa dalla nascita e che mai come adesso appare sempre più breve e degna di essere assaporata prima dell’inevitabile e naturale conclusione.

CUPO E INTRIGANTE.

DA VEDERE.

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