In Italia abbiamo un problema di dignità del lavoro

Luisa Sbarra Luisa Sbarra3 Febbraio 20237 min

La storia di Giuseppina Giugliano, meglio conosciuta come la bidella pendolare, ragazza napoletana di 29 anni, è stata riportata su tutte le più importanti testate giornalistiche, suscitando le più disparate reazioni e tanti dibattiti. La giovane racconta, in un’intervista a “Il Giorno”, di fare 6 giorni su 7 la tratta Napoli-Milano all’andata e Milano-Napoli al ritorno, per andare a lavorare, come operatrice scolastica al liceo artistico Bocconi di Milano. Con il suo stipendio, di circa 1165 euro circa al mese, infatti, non riuscirebbe a vivere in una città come Milano e a pagarsi l’affitto. Così, quasi ogni giorno, prende un treno da Napoli alle 5:00 ed arriva a Milano giusto in tempo per prestare servizio e ritorna nella sua città natale con un altro treno per le 23. Una ragazza sballottata da Sud a Nord e viceversa pur di lavorare. Prendere una stanza, un appartamento, non le converrebbe; i costi degli affitti sarebbero troppo alti e preferirebbe fare questo lungo tragitto ogni volta. Così facendo dichiara di spendere molto di meno: “Accumulando punti con i viaggi che faccio e prendendo i biglietti con tanto anticipo, il treno mi costa poco, circa 400 euro al mese. Molto di meno di una stanza in condivisione a Milano”.

La sua storia tuttavia non convince tutti e sembrerebbe poco credibile; non tornano i conti nemmeno sui costi dei biglietti, poiché anche utilizzando promozioni e coupon la spesa mensile non potrebbe essere inferiore ai 600 euro. Alcuni, indagando meglio, come Le Iene di Italia 1, avrebbero scoperto che la ragazza ha fatto così fino a dicembre e ora sarebbe in congedo.

Che la storia sia vera del tutto o solo in parte, non importa in realtà. Quello su cui ci si dovrebbe fermare a riflettere è se si può considerare questa dignità del lavoro. Quella di Giuseppina sarà pure una storia probabilmente romanzata, ma tanti giovani si trovano a dover scendere a compromessi così, a considerare ogni proposta lavorativa (in nero, o in condizioni di quasi schiavistiche) una fortuna, anche facendo enormi sacrifici, annullando la propria vita. È giusto non vivere per lavorare? È giusto stare in condizioni come queste lottando ogni giorno contro il precariato e la bassa retribuzione? Non avere talvolta un contratto dal valore legale? La storia di Giusy è un esempio rappresentativo di quello che tanti giovani, magari anche genitori, sono costretti ad affrontare. Mentre qui va così, nei Paesi europei più sviluppati, come Belgio e Spagna, invece si sperimenta la settimana lavorativa breve, che, come è dimostrato, comporta una serie di vantaggi sia sul benessere del lavoratore sia sulla sua performance professionale.

La relazione del Ministero del Lavoro, coordinata dall’economista Andrea Garnero, attesta che circa il 25% dei lavoratori sono considerabili lavoratori poveri, con una retribuzione che è inferiore al 60% della retribuzione mediana e il 10% verserebbe invece in condizioni di povertà. 

In Italia si rinvia continuamente l’approvazione di un salario minimo, in quanto danneggerebbe la contrattazione collettiva e il sistema di relazioni industriali che ha contraddistinto il nostro Paese, poiché a tutelare i salari dei lavoratori ci sono i contratti collettivi nazionali che vengono concordati e firmati tra i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro e aggiornati ogni tre anni.

Inoltre, più della metà dei giovani lavoratori ritiene di essere pagato troppo poco. Per 4 persone su 10, infatti, la retribuzione mensile è inferiore ai 1000 euro, solo un terzo riceve un salario più dignitoso, tra i 1000 e i 1500 euro, mentre meno di uno su quattro supera i 1500 netti al mese. Tra colleghi e colleghe c’è anche una forte differenza di salario: lo stipendio medio per i giovani lavoratori è di 1160 per gli uomini e 996 per le donne. L’INPS afferma che in Italia la maggior parte degli under 35 è sotto contratto a tempo determinato, tirocinio o stage o a collaborazioni occasionali e a forme di lavoro autonomo. Queste sono solo alcune delle motivazioni (un’altra potrebbe essere ad esempio quella della sicurezza sul lavoro) che spiegano perché l’Italia è lontana dal poter assicurare ai propri lavoratori condizioni dignitose.

Luisa Sbarra

Luisa Sbarra

Studentessa di Giurisprudenza alla Federico II di Napoli con la passione per la scrittura da sempre.

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