Interruzione di gravidanza per problemi di salute: ecco cosa c’è da sapere

di Carolina Cassese

Quando la mancata o inesatta informazione sullo stato di salute del feto può determinare un danno da mancata interruzione della gravidanza? Il nostro ordinamento riconosce il diritto della donna a ricorrere all’interruzione della gravidanza ma alla presenza di determinate condizioni. La gravidanza può essere interrotta entro i primi 90 giorni, qualora possa comportare per la donna un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica. Tuttavia, può accadere che dagli esami strumentali, eseguiti successivamente al novantesimo giorno, possa essere rilevata la presenza di anomalie o malformazioni del feto. In questi casi, è possibile interrompere la gravidanza anche dopo i primi novanta giorni, laddove dagli esami effettuati, emerga un grave pericolo per la salute psicofisica della donna.

La donna deve essere messa nelle condizioni di conoscere in maniera precisa e completa lo stato di salute del feto. Tale diritto presuppone l’ obbligo, in capo al personale sanitario, di eseguire in maniera diligente gli accertamenti necessari, oltre che di informare la paziente nel caso ravvisi anomalie o malformazioni fetali. Il medico ha l’obbligo, qualora gli esami strumentali non abbiano consentito di visualizzare l’anomalia morfologica nella sua interezza, di informare la gestante dell’incompletezza degli esami eseguiti e quindi di ricorrere ad ulteriori esami più approfonditi, in merito ad un eventuale esercizio del diritto di abortire.

La Corte di Cassazione ha individuato vari profili di responsabilità medica per omessa diagnosi di malformazione del feto. Per esempio, grava sul medico il dovere di informare i genitori circa le condizioni di salute del nascituro. Recentemente è stata riconosciuta la responsabilità del medico che non aveva fornito una completa informazione sui possibili rischi cui andava incontro la gestante a causa di una patologia già contratta. In questa occasione, seppure la malformazione non si era già prodotta e quindi non accertata, era tuttavia possibile prevederne lo sviluppo e quindi informare i genitori della probabilità che il bambino nascesse con gravi patologie.

Occorre premettere che il nostro ordinamento non prevede un “diritto a nascere se non sano”, quindi il solo fatto che il nato presenti gravi malformazioni non fa nascere un automatico diritto al risarcimento del danno per mancata interruzione della gravidanza. La legge 194 del 1978, nella parte in cui prevede l’interruzione della gravidanza oltre il novantesimo giorno, non attribuisce tale scelta all’autodeterminazione della donna, ma richiede, oltre all’esistenza di “processi patologici”, un grave pericolo per la salute psicofisica della stessa, che può derivare dal fatto di sapere che il figlio concepito nascerebbe con anomalie o malformazioni.

Il genitore che intende agire nei confronti del medico o della struttura sanitaria per il risarcimento del danno da mancata interruzione della gravidanza dovrà dimostrare: la rilevante anomalia del nascituro; l’omessa informazione da parte del medico; il grave pericolo per la salute psicofisica della donna. Occorrerà poi dimostrare che l’accertamento dell’esistenza di anomalie o malformazioni avrebbe indotto la madre ad interrompere la gravidanza. La prova della volontà abortiva potrà essere fornita tramite elementi fattuali, quali: pregresse manifestazioni di propositi abortivi in caso di malformazioni del feto, richiesta da parte della donna di esami specifici mirati ad escludere malformazioni fetali, preesistenza di precarie od alterate condizioni di salute psicofisica della donna, condotte già tenute dalla donna in occasione di precedenti gravidanze.

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