La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia per non aver protetto il diritto alla vita dei cittadini campani nella “Terra dei fuochi” attraverso una sentenza che richiama alla responsabilità un’intera classe politica. “Le autorità italiane mettono a rischio la vita degli abitanti della Terra dei Fuochi, l’area campana coinvolta nei decenni scorsi nell’interramento di rifiuti tossici”: lo si legge nella sentenza della Corte che ha condannato l’Italia che, pur riconoscendo la situazione, non ha preso le dovute misure. La Corte ha riconosciuto un rischio per la vita “sufficientemente grave, reale e accertabile”, che può essere qualificato come “imminente” per i cittadini.
L’area interessata, nota come Terra dei fuochi, si estende tra le province di Napoli e Caserta dove vivono circa 3 milioni di persone. Qui per anni, secondo le continue indagini, sono stati scaricati, interrati e inceneriti rifiuti tossici. L’area è stata ignorata per decenni dalla classe politica che non è riuscita ad adottare soluzioni serie e concrete. Dal 2003 si sono succeduti 12 governi nazionali e 5 a livello regionale e nessuno di essi ha trovato un modo per “curare” la Terra dei Fuochi. Legambiente ha chiesto quindi a gran voce che in quei territori venga da subito attuata la sentenza e fatta davvero “ecogiustizia”, attraverso una efficiente bonifica e con la chiusura del ciclo dei rifiuti.
Sono quattro i punti fondamentali della sentenza. La Corte di Strasburgo, in effetti, ha accolto il ricorso proposto da 41 individui e 5 associazioni. Per la CEDU, il rispetto a un rischio per la vita sufficientemente grave, reale e accertabile, che poteva essere qualificato come imminente, lo Stato italiano, “per sottrarsi al suo dovere di protezione nei confronti degli abitanti, non poteva trincerarsi dietro il fatto che non potessero essere accertati gli effetti precisi che l’inquinamento avrebbe potuto avere sulla salute dei cittadini“. Il secondo punto di rilievo è la frammentazione delle competenze concorrenti tra livelli nazionali, regionali, locali che ha paralizzato la situazione. La Corte di Strasburgo ha infatti rilevato “un problema generalizzato di coordinamento e di attribuzione delle responsabilità in Campania in materia di bonifica dei siti inquinati, al punto che era impossibile avere un’idea generale di quali luoghi dovessero ancora essere decontaminati“. Con il terzo punto, la CEDU stigmatizza sia le norme italiane sulla prescrizione dei reati che vigevano all’epoca, sia l’apposizione del segreto di Stato da parte delle autorità: “Il governo ha fornito solo sette esempi di condanne presumibilmente correlate a crimini ambientali e, data la lunga durata della crisi, è stato impossibile per la CEDU ottenere una visione d’insieme solo da quei procedimenti. Lo Stato italiano non solo non ha intrapreso le necessarie azioni penali per contrastare lo smaltimento abusivo di rifiuti nell’area Terra dei Fuochi ma, data l’entità, la complessità e la gravità della situazione, era necessaria una strategia di comunicazione completa e accessibile, al fine di informare il pubblico in modo proattivo sui rischi potenziali o effettivi per la salute“.
Con il quarto punto la Corte di Strasburgo impone sanzioni e obblighi all’Italia: istituire una commissione di controllo indipendente, che comprenda membri liberi da qualsiasi affiliazione istituzionale con le autorità statali e istituire un’unica piattaforma informativa pubblica che raccolga tutte le informazioni rilevanti relative al problema Terra dei Fuochi. Misure da attuare entro due anni, pena successive sanzioni pecuniarie per i danni morali. L’augurio è che dopo questo importante passo della CEDU lo Stato italiano agisca realmente con un pugno fermo e deciso su questa annosa questione.