“Don Camillo”: l’inizio della iconica saga della coppia filmica di Guareschi

Vittorio Paolino Pasciari Vittorio Paolino Pasciari7 Settembre 20198 min

Don Camillo è un film italo-francese del 1952 scritto e diretto da Julien Duvivier. La pellicola è liberamente ispirata ai personaggi creati da Giovannino Guareschi in una serie di racconti scritti fra il 1946 ed il 1947 e pubblicati dall’editore Rizzoli in un unico volume, Mondo Piccolo, nel marzo 1948.

Il film ha per interpreti principali Fernandel (Don Camillo), Gino Cervi (Giuseppe ‘Peppone’ Bottazzi), Leda Gloria (signora Bottazzi), Saro Urzì (il Brusco), Marco Tulli (lo Smilzo), Giovanni Onorato (Scartazzini), Carlo Duse (il Bigio), Mario Siletti (avv. Stiletti), Louise ‘Sylvie’ Sylvain (signora Cristina), Gualtiero Tumiati (Ciro della Bruciata), Armando Migliari (Rosco della Bruciata), Franco Interlenghi (Mariolino della Bruciata), Luciano Manara (vecchio Filotti), Vera Talchi (Gina Filotti) e Charles Vissières (il Vescovo).

Ancora oggi è considerato il settimo fra i film italiani più visti di sempre, con 13 milioni di spettatori alla sua uscita, ed è stato selezionato tra i 100 film italiani da salvare.

Il lungometraggio rappresenta il primo capitolo di una saga che prosegue con Il ritorno di Don Camillo (1953) diretto ancora da Julien Duvivier, Don Camillo e l’onorevole Peppone (1955) e Don Camillo monsignore… ma non troppo (1961) diretti da Carmine Gallone, e Il compagno Don Camillo (1965) diretto da Luigi Comencini.

LA TRAMA Emilia Romagna, giugno 1946. Brescello non è solo un semplice paesino sulla riva destra del Po, le dispute tra il parroco Don Camillo ed il sindaco comunista Peppone sono infatti all’ordine del giorno. I due cercano in ogni modo di ostacolarsi nei rispettivi progetti ed il temperamento focoso del parroco deve sempre scontrarsi con i rimproveri del Crocefisso parlante della Chiesa. Il battesimo dell’ultimogenito del sindaco, l’inaugurazione della Casa del Popolo, lo sciopero dei braccianti, una partita di calcio fra le rispettive fazioni, una tormentata storia d’amore fra due giovani con famiglie nemiche, la morte della vecchia maestra del paese, sono solo alcuni dei pretesti che danno origine agli scontri.

IL “MONDO PICCOLO” DELLA BASSA  Giovannino Guareschi è nato a Fontanelle di Roccabianca (Parma) il 1o maggio 1908 ed è morto a Cervia il 22 luglio 1958. Giornalista, scrittore, umorista, lavorò in diverse testate, tra cui Bertoldo, e fondò insieme a Giovanni Mosca e Giaci Mondaini il settimanale umoristico Candido. I personaggi di Don Camillo e Peppone hanno conosciuto la notorietà mondiale a tal punto da rendere Guareschi lo scrittore italiano più tradotto del secondo Novecento.

La prima edizione dei racconti di Don Camillo e Peppone (1948)

«Il paese di Mondo Piccolo è un puntino nero che si muove in su e in giù per quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino: basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia.»

ANALISI DEL FILM I battibecchi fra le due fazioni, dalle parole di un comizio fino alle tavole in testa, sono lo sfondo che accompagna episodi dove il dramma sfiora la tragedia per mettere in luce la cruda realtà di un paese, ovvero l’Italia contadina e operaia che a fatica cerca di riprendersi dalla tragedia della Guerra. Una pagina di storia dove i problemi non vengono ignorati, anche se resi meno dolorosi dalle azioni irresistibili dei protagonisti. Immagini ed azioni scorrono lente ed offrono un realismo dove storia e finzione si fondono perfettamente. Il parroco ha un carattere irritabile, puntualmente redarguito dal Cristo parlante. Il sindaco ha un aspetto burbero ma è sempre dalla parte dei lavoratori oppressi. Due facce di un mondo in cui religione e politica sono i simboli di due modi di andare avanti nonostante le difficoltà. Due entità destinate allo scontro ma che condividono lo stesso obiettivo, cercare di migliorare il loro mondo. E alla fine, in un commovente congedo finale, dimostrano di provare un affetto reciproco che li rende inseparabili come i due piatti della medesima bilancia.

DUE INTEPRETI INEGUAGLIABILI  Su una rispettabile carovana di interpreti impeccabili che provengono dal cinema e dal teatro italo-francese si impongono a buon diritto i due protagonisti. Fernandel (Don Camillo), all’anagrafe Fernand Joseph Désiré Contandin, nasce a Marsiglia l’8 maggio 1903 e muore a Parigi il 26 febbraio 1971. Bambino prodigio, debutta in palcoscenico nel 1908 dimostrando negli anni un talento che lo renderà un’icona del teatro e del cinema d’Oltralpe. Oltre alla saga del parroco e del sindaco di Brescello, un’altra irresistibile interpretazione da ricordare è al fianco del Principe della risata, Totò, in un’altra produzione italo-francese del 1958 (La legge è legge).

Gino Cervi (Peppone) è nato a Bologna il 3 maggio del 1901 ed è morto a Punta Ala il 3 gennaio del 1974. Fra i grandi attori che l’Italia ha potuto vantare nel Novecento, deve una meritata immortalità nel ricordo di chi lo ha vissuto, oltre che al sindaco di Brescello, magistralmente reso nel suo essere burbero ma dal cuore puro, almeno ad altri 2 personaggi, maschere di due mondi artistici, il cinema e la televisione, di cui Cervi è stato protagonista assoluto: il Cardinale Lambertini (omonimo film del 1954) ed il commissario Jules Maigret (serie tv italiana in 16 sceneggiati trasmessi fra il 1964 ed il 1972).

DALLE PAGINE AL CELLULOIDE Il mondo creato da Guareschi è un pilastro della letteratura contemporanea che, in una perfetta combinazione di divertimento e dramma, consente al lettore di immedesimarsi nei personaggi riscoprendo i problemi che caratterizzano la vita vera, quella in cui bisogna sudare per andare vanti. L’umanità dei protagonisti risiede nella purezza del loro cuore che consente di migliorare, in accordo talvolta forzato, le condizioni di vita della propria patria. Favole che sembrano storie vere, o storie vere che sembrano favole, difficile è dirlo.

Nella trasposizione in celluloide gli interpreti sono impeccabili e mostrano un feeling consolidato anche fuori dal set in una profonda amicizia fra Fernandel, Cervi e lo stesso Guareschi. Il progetto per un capitolo sesto (Don Camillo e i giovani d’oggi, 1970) diretto da Christian-Jaque rimase incompiuto per la morte di Fernandel e l’abbandono da parte del regista e dello stesso Cervi, per rispetto al collega e amico. La decisione di proseguire con un nuovo cast (Gastone Moschin e Lionel Stander), un nuovo regista (Mario Camerini) ed una nuova sceneggiatura non impedì la produzione di un apocrifo indegno della saga originale (Don Camillo e i giovani d’oggi, 1972).

Una divertente rivisitazione in un contesto nuovo si può ritenere il remake omonimo del 1983 scritto, prodotto ed interpretato da Mario Girotti, in arte “Terence Hill”, che proprio con una tonaca, un basco ed una bicicletta è tornato alla ribalta sul piccolo schermo in una delle fiction più amate prodotte dalla Rai (Don Matteo). Se si dovesse dare una descrizione di ciascuno dei 5 capitoli della saga, che va vista tutta, si potrebbe dire che i primi due sono autentici pezzi di storia del Cinema che offrono anche un degno omaggio a drammi storici come la disoccupazione dei contadini e l’alluvione del Polesine (novembre 1951). Il terzo capitolo è il più divertente, con un memorabile discorso elettorale di Peppone. Negli ultimi due capitoli i riferimenti a fatti drammatici nella realtà si riducono grossomodo a due scene: la morte di un giovane attivista nella strage di Reggio-Emilia (7 luglio 1960) ed il compagno Brusco che accende un lumino in un campo di grano in Russia nel ricordo del fratello caduto in guerra (battaglia di Arbuzovka, 21-25 dicembre 1942).

IL PASSATO CHE INSEGNA Quando intrattenimento e dramma sono perfettamente combinati si può meglio apprezzare l’insegnamento offerto da un Classico della Letteratura e da un pilastro del Cinema. Quella tratteggiata da Guareschi, immortalata sul grande schermo da due interpreti indimenticabili, è un’Italia che non esiste più ma che ancora può insegnare molto a chi è venuto dopo. In un presente sempre più gravato da comodità tecnologiche utilissime ma che possono sfiancare il carattere di chi ne abusa si rischia di dimenticare i sacrifici che si compiono ogni giorno per migliorare la vita propria e degli altri.

Un’occasione rara per i più giovani di conoscere la politica quando era una cosa seria e non il degradante gioco ‘chi ha ragione e chi ha torto’ che oggi si presenta ogni volta che ci sono problemi da affrontare.

CAPOLAVORO DA SALVARE.

Vittorio Paolino Pasciari

Vittorio Paolino Pasciari

Classe '86, nolano DOC. Laureato in Lettere Classiche, appassionato di cinema, letteratura e teatro.

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