Hugo Cabret riscopre le origini del Cinema grazie ad una storia di riscatto

Vittorio Paolino Pasciari Vittorio Paolino Pasciari2 Febbraio 20194 min

Hugo Cabret (Hugo) è un film del 2011 in 3D diretto da Martin Scorsese e con protagonisti Asa Butterfield (Hugo), Chloë Grace Moretz (Isabelle), Ben Kingsley (George Méliès), Christopher Lee (Monsieur Labisse), Sacha Baron Cohen (Ispettore ferroviario Gustav) e Jude Law (padre di Hugo). Il film è la trasposizione cinematografica di una graphic novel scritta da Brian Selznick nel 2007, La straordinaria invenzione di Hugo Cabret.

LA TRAMA. Parigi, anni ’30. Hugo Cabret è un orfano dodicenne che vive nascosto in una stazione ferroviaria. Hugo viveva con il padre, morto a causa di un incendio avvenuto nel museo dove lavorava. Sotto la tutela dello zio, alcolizzato manutentore degli orologi della stazione, il ragazzo per sopravvivere è costretto a mettere in atto continui sotterfugi e a diventare egli stesso riparatore di ogni sorta di congegni e meccanismi quando lo zio scompare lasciandolo solo. Di suo padre a Hugo è rimasta la passione per il cinematografo e un automa meccanico rotto trovato nel museo, lì dimenticato chissà da quanto e miracolosamente sfuggito all’incendio. Hugo instaura così un rapporto speciale con l’automa da riparare, una relazione dai risvolti misteriosi, e conosce Isabelle, una ragazzina adottata dal proprietario del chiosco di giocattoli George Méliès. In realtà l’automa fu costruito proprio da “papà George”, che grazie alle ricerche effettuate dai due ragazzi si rivelerà essere stato il più famoso cineasta dell’anteguerra ed inventore di alcune delle più strabilianti tecniche cinematografiche dell’epoca, al confine fra il sogno e la magia.

Il film racconta, attraverso una storia inventata, la riscoperta ed il riconoscimento dell’opera di George Méliès (1861-1938) che, dopo i Fratelli Lumière, è oggi ritenuto il secondo padre del cinema, nonché l’inventore della regia cinematografica in senso stretto, del cinema fantastico e fantascientifico e della tecnica del montaggio. Da un lato c’è un ragazzo con uno spiccato talento per la meccanica degli orologi costretto ad affrontare la dura vita dell’orfano, dall’altro c’è un geniale maestro del Cinema deluso ed ormai dimenticato da tutti. Due personaggi, accomunati dalla vita nella sua forma più dura, grazie alla curiosità del più giovane riescono entrambi ad ottenere un riscatto che aprirà loro la strada verso un lieto avvenire che ormai sembrava insperato.

È il primo film girato da Martin Scorsese in 3D, utilizzato di sua scelta per dare un’ulteriore impronta stilistica alla vicenda. Ai Golden Globe 2012 il film ha fatto guadagnare a Scorsese il premio “Miglior Regista”, mentre ai Premi Oscar 2012 si è aggiudicato 5 statuette (miglior fotografia, miglior scenografia, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, migliori effetti speciali) su 11 nomination.

In tempi odierni un film di fantascienza o fantasy dove compaiono effetti speciali graficamente impressionanti spesso può non soddisfare appieno chi fra gli spettatori conserva ancora un bellissimo ricordo di quei semplici congegni meccanici capaci di stimolare la fantasia come gli animatronics che resero indimenticabili le origini del Cinema fino agli anni ’80 e ’90, oppure i pupazzi in animazione a passo uno (o stopmotion) che, se con Ray Harryhausen prima e con Tim Burton adesso, hanno raggiunto la leggenda, in realtà hanno mosso i primi passi proprio con Méliès.

Se ti sei mai chiesto da dove arrivano i tuoi sogni quando vai a dormire la sera, guardati attorno. È qui che vengono creati.” Con queste parole in un flashback dei suoi ricordi di gioventù George Méliès, interpretato da un magnifico Ben Kingsley, spiega ad un bambino il suo mestiere mostrandogli il teatro di posa dove girava i suoi film.

Qualunque appassionato del mondo visto attraverso la luce di un proiettore su un telone bianco non potrà che rimanere affascinato da questa romanzata storia sulle ‘magiche’ origini del Cinema, in particolare di quello che tramite effetti artigianali da teatro riusciva ad offrire un realismo a contesti surreali laddove gli odierni pixels del CGI se sono indubbiamente capaci di offrire una spettacolarità impressionante non sempre stimolano con uguale effetto la fantasia di una mente ancora aperta allo stupore che vive dopo che si è acceso lo schermo nel buio della sala.

Vittorio Paolino Pasciari

Vittorio Paolino Pasciari

Classe '86, nolano DOC. Laureato in Lettere Classiche, appassionato di cinema, letteratura e teatro.

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