“Taxi Driver”: degrado, solitudine e follia nel capolavoro di Scorsese

Vittorio Paolino Pasciari Vittorio Paolino Pasciari24 Ottobre 20209 min

Taxi Driver è un film di genere drammatico del 1976 diretto da Martin Scorsese che ha per interpreti principali Robert De Niro (Travis Bickle), Jodie Foster (Iris Steensma), Harvey Keitel (Matthew “Sport”), Albert Brooks (Tom), Peter Boyle (“Mago”), Cybill Shepherd (Betsy) e Leonard Harris (senatore Charles Palantine).

La pellicola è ritenuta un Capolavoro fra i film del regista italoamericano di New York e del cinema contemporaneo. Fra i riconoscimenti si segnalano la Palma d’Oro al 29o Festival di Cannes ed il David di Donatello 1977 a Martin Scorsese e 4 nomination (fra cui miglior film) agli Oscar 1977. L’ American Film Institute lo colloca al 52o posto tra i 100 migliori film di tutti i tempi mentre la rivista britannica Empire lo colloca al 17o posto nella lista dei 500 migliori film della storia. Nel 1994 il film è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli USA. Nel 2012 un’altra rivista inglese, la Sight and Sound, lo colloca ex aequo con Il Padrino – Parte II al 31posto nella classifica dei migliori film di sempre.

TRAMA  New York, USA 1975. Travis Bickle è un ventiseienne alienato, isolato, disadattato ex-marine reduce del Vietnam congedato nel ’73. Egli soffre di una insonnia cronica che lo porta a lavorare come tassista notturno. Di giorno passa il tempo libero in solitudine, scrivendo un diario e guardando la televisione. Quando esce, il suo unico svago è la visione di film pornografici in squallidi cinema a luci rosse, mentre di notte guida il suo taxi per tutti i quartieri di New York e le sue uniche frequentazioni sono alcuni colleghi che incontra in un bar durante la pausa. Nel corso della sua noiosa routine resta affascinato da Betsy, un’ impiegata dello staff elettorale del senatore di New York Charles Palantine, candidato alle elezioni presidenziali. Inizialmente colpita da Travis, la donna accetta un appuntamento con lui, ma l’incontro, a causa della sprovvedutezza di lui, si risolve in un fallimento e la donna si allontana con l’intenzione di non rivederlo più. Questo rifiuto sarà per Travis la goccia che fa traboccare il vaso del suo animo psicotico e lo condurrà in un tunnel di follia che, dopo l’incontro con la prostituta minorenne Iris, lo trasforma in un giustiziere spinto dalla vendetta contro quello che ritiene sia il degrado morale che lo circonda.

ANALISI Un animo tormentato e traumatizzato dalla guerra si lascia condurre attraverso una routine che sotto una apparenza di normalità dissimula un senso di vuoto profondo e un disagio sociale che pare poter esplodere da un momento all’altro in furia cieca. Una delusione amorosa ed una tragica storia di degrado sociale sono la scintilla che accendono un violento senso di ribellione alla sofferenza vista come ingiustamente inferta dalla squallida società circostante. L’azione scorre veloce e, concentrandosi in primi piani, conduce lo spettatore in una climax ascendente di emozioni che si agitano nell’animo del tassista. La definitiva rinuncia al controllo esplode, letteralmente, nella sparatoria per salvare una sventurata innocente come preludio ad un’inevitabile e tragica fine. Ma il colpo di scena nella conclusione della storia è un’amara presa di coscienza di quanto la realtà cittadina che fa da sfondo sia da biasimare e condannare più del crimine di cui si è macchiato un personaggio bisognoso di aiuto e amore.

da sinistra, Robert De Niro e il regista Martin Scorsese

CINEMA INTROSPETTIVO Abbiamo già avuto modo di descrivere il fenomeno della New Hollywood (cfr. la recensione di Easy Rider qui) in cui mossero i primi passi, dietro e davanti la cinepresa, nomi che ormai sono maestri e pilastri del mondo riprodotto in celluloide. Da questo momento i registi, fra cui si annoverano assieme a Martin Scorsese nomi del calibro di Brian de Palma e Francis Ford Coppola, diventano autori con il pieno controllo sui propri prodotti. Il soggetto delle trame si concentra sulle vicissitudini di personaggi problematici che rispecchiano l’uomo qualunque e si affrontano senza sconti temi forti come, nel caso del tassista psicotico Travis,  la solitudine e l’inquietudine giovanili che riflettono la drammatica realtà urbana delle metropoli americane.

CURIOSITÀ Onde evitare il massimo divieto della censura, Martin Scorsese sminuì di intensità i colori della pellicola nella scena della sparatoria finale, rendendo il rosso del sangue meno appariscente. La presenza della giovane Jodie Foster in questa scena fece scalpore, ma l’attrice assicurò che tutto il processo di realizzazione fu eseguito con un occhio di riguardo per lei, che non ne rimase traumatizzata ma al contrario il backstage di preparazione degli effetti speciali suscitò in lei notevole interesse. Negli anni si sono sviluppate diverse teorie sull’epilogo del film. A chi ritiene che le scene dopo la sparatoria siano il risultato dell’immaginazione di Travis in fin di vita, Scorsese ha risposto che i momenti finali, in particolare il rapido sguardo quasi nevrotico di Travis nello specchietto, potrebbero rappresentare la possibilità che egli possa soffrire di nuovo di depressione e scatti di ira in futuro. Altri critici invece ritengono che il finale aperto rappresenti un epilogo letterale in perfetta sintonia con la trama per sottolineare la volubilità del destino e la manipolazione da parte dei media che trasformano Travis in un eroe ma, se avesse ucciso il senatore Palantine, lo avrebbero descritto come un assassino: il misantropo viene trasformato in un cittadino modello perché affronta e uccide papponi, spacciatori e gangster per salvare una giovane ragazza.

“Ma dici a me? Ma dici a me? … Ma dici a me? Ehi con chi stai parlando? Dici a me? Non ci sono che io qui.”


La scena più famosa del film
è forse quella in cui Travis si trova con la pistola davanti allo specchio (omaggiata da un ineguagliabile Michael J. Fox in Ritorno al Futuro – Parte III) ed inizia un monologo alla sua immagine riflessa. Questa scena è stata interamente improvvisata da De Niro e piacque così tanto a Scorsese che decise di tenerla nel montaggio finale. De Niro lavorò come tassista nei mesi antecedenti alle riprese e ha studiato le malattie mentali.


“La mia intera vita, ora, si basa sulla certezza che la solitudine lungi dall’essere un fenomeno raro e curioso è il fatto centrale ed inevitabile dell’esistenza umana.”
(Thomas Wolfe)


DEGRADO, SOLITUDINE E FOLLIA
Lo sceneggiatore Paul Schrader ha affermato a suo tempo di essersi ispirato per le tematiche del film all’esistenzialismo europeo ed in particolare a Jean Paul Sartre (La Nausea) e Albert Camus (Lo straniero) oltre che alla storia vera di cronaca di Arthur Bremer, criminale che il 15 maggio 1972 durante una manifestazione nel Maryland, tentò di assassinare il governatore dell’Alabama e candidato democratico alle Presidenziali USA George Wallace.

Ambientato a New York dopo la Guerra del Vietnam (1955-1975), il film di Scorsese narra una storia in cui si individuano elementi neo-noir, sottogenere del noir che ripropone e riadatta le trame ad ambientazioni contemporanee. Protagonista è un antieroe in conflitto e la vicenda è percorsa da un generale senso di ambiguità, disincanto e smarrimento in cui non convenzionali movimenti di macchina e le progressioni della trama ricordano allo spettatore che deve semplicemente guardare il film e non prendere parte alla costruzione della storia. Altrove è possibile riscontrare segni tangibili che appartengono al giallo/thriller psicologico in quanto più che seguire una trama precisa, l’occhio dello spettatore viene condotto direttamente all’interno delle vicende dei personaggi, i tormenti e le ipocrisie sono i veri attori mentre tutto intorno scorre in un crescendo di suspense dove le emozioni aspettano solo di esplodere in maniera dirompente nel dramma finale mentre l’epilogo aperto sembra voler appunto mantenere alta la tensione invece che stabilire la chiusura di un cerchio che, in una trama classica, ha inizio, progressione e fine.  

Particolarmente notevole è la prova di Robert De Niro che il giornalista americano Robert Kolker definì “l’ultimo degli eroi del noir nel mondo più noir che si possa immaginare”. L’attore, pilastro del mondo in celluloide che non a bisogno di presentazioni, aveva già dato due anni prima una grande prova d’autore dietro la regia di F. F. Coppola come giovane Vito Corleone (Il Padrino – Parte II) ed una definitiva consacrazione la otterrà nel 1980 ancora una volta diretto da Scorsese in un drammatico e magnifico biopic (Toro Scatenato). Da non dimenticare è anche la prova di una 14enne Jodie Foster che si aggiudica meritatamente due Premi BAFTA (miglior attrice esordiente e miglior attrice non protagonista) prima di ottenere la meritatissima consacrazione come “miglior attrice protagonista” agli Oscar nel 1989 (Sotto accusa) e nel 1992 (Il silenzio degli innocenti).

Prima ancora di giudicare e condannare chi commette il crimine laddove la giustizia arranca, sarebbe meglio ricordare l’ipocrisia e la crudeltà di una società che, vestendo indegnamente di ideali patriottici (il politico che illude con le parole) un mai appagato desiderio di egoistico benessere ha esteso la sua corruzione condannando soprattutto i giovani ad un’esistenza traumatizzata ai limiti della psicosi (la tragedia dei reduci del Vietnam menomati nel corpo e nello spirito) in cui non si riesce più a rientrare ad una vita socialmente normale che viene vista come l’ennesima imposizione di un sistema corrotto e opprimente.

CLASSICO DA PRESERVARE.

Vittorio Paolino Pasciari

Vittorio Paolino Pasciari

Classe '86, nolano DOC. Laureato in Lettere Classiche, appassionato di cinema, letteratura e teatro.

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