Nuovi dati confermano: in caso di infarto ogni minuto è essenziale per salvare vite

Redazione Zerottouno News Redazione Zerottouno News25 Luglio 20194 min

In caso di infarto ogni minuto conta, letteralmente. E molto più di quanto si supponesse in passato: nuovi dati discussi durante il convegno di presentazione della campagna nazionale sulla gestione dell’infarto “Ogni minuto conta“, dimostrano che non deve più esistere il limite “golden hour” di 120 minuti, ormai superato, perché la tempestività dell’intervento medico è ancora più essenziale del previsto, e perché per ogni 10 minuti di ritardo si registra un 3% addizionale di mortalità. La nuova campagna, voluta da “Il Cuore Siamo Noi – Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus”, con il patrocinio della Società Italiana di Cardiologia, sarà l’occasione per sottolineare l’importanza delle due strategie principali per accorciare i tempi di accesso all’angioplastica con stent, intervento indispensabile per riaprire le coronarie colpite da infarto.

Da un lato infatti i cittadini devono imparare a riconoscere subito i segni tipici dell’infarto (come il dolore costrittivo retrosternale), dall’altra i soccorsi devono ridurre ogni possibile ritardo avendo a disposizione mezzi equipaggiati con un elettrocardiografo per fare diagnosi immediata, garantendo il trasferimento nel più breve tempo possibile a centri con un laboratorio di emodinamica. Se il paziente invece arriva in un ospedale dove può essere sottoposto ad angioplastica, non deve passare all’accettazione del Pronto Soccorso ma deve andare direttamente in sala di emodinamica, come fosse un fast track in aeroporto, risparmiando solo qui circa 20 minuti. Quando la diagnosi di infarto viene effettuata prima che il paziente si ricoveri in ospedale (diagnosi pre-ospedaliera basata sui sintomi e sull’elettrocardiogramma), l’attivazione immediata del laboratorio di emodinamica non solo riduce il ritardo del trattamento, ma riduce anche la mortalità.

I dottori Ciro Indolfi e Francesco Romeo

Francesco Romeo, direttore della cattedra e scuola di specializzazione in cardiologia Università Tor Vergata di Roma, e presidente de Il Cuore Siamo Noi – Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus, spiega:

Sappiamo già che la rapidità dei soccorsi in caso di infarto è indispensabile. È noto da anni, per esempio, che un intervento successivo ai 90 minuti dall’esordio dei sintomi può addirittura quadruplicare la mortalità dei pazienti. Gli ultimi studi clinici, che ormai coinvolgono migliaia di pazienti, hanno dimostrato però che non esiste in realtà un ‘tempo soglia’ che permetta di discriminare tra intervento tempestivo o meno, ma che la prognosi del paziente peggiora in maniera continua all’aumentare del ritardo nel trattamento. Per questo ‘ogni minuto conta’ e nuovi dati mostrano che questo è ancor più vero soprattutto in quei pazienti che si presentano in condizioni gravissime, con perdita di coscienza: in questi casi, nei quali la mortalità purtroppo è ancora oggi del 50-70 % anziché di circa il 3% come negli infarti classici, per ogni ritardo di 10 minuti nel trattamento si registrano ben tre morti in più su 100 pazienti trattati.

Ciro Indolfi, presidente della Società Italiana di Cardiologia e direttore della Cardiologia- Emodinamica ed UTIC dell’Università Magna Grecia di Catanzaro, aggiunge:

Tuttavia, anche fra i pazienti che arrivano in Pronto Soccorso in condizioni più stabili il ritardo ha un impatto negativo, seppure leggermente inferiore. Perdere tempo in caso di infarto, quindi, provoca sempre un inaccettabile aumento della mortalità: più si indugia maggiore è la quantità di muscolo cardiaco che viene perso e sostituito da tessuto fibroso, non contrattile, con importanti conseguenze nella qualità di vita del paziente. Il tempo è muscolo. In caso di infarto è essenziale accedere quanto prima all’angioplastica primaria, un intervento mini-invasivo con cui si ‘libera’ l’arteria responsabile dell’infarto e si posiziona uno stent che mantiene aperto il vaso malato. In Italia si effettuano ogni anno 158.689 angioplastiche coronariche e 37.135 angioplastiche primarie, un valore che ha permesso di superare il tetto delle 600 angioplastiche primarie/1.000.000 abitanti definito standard di qualità̀ europeo (609 pPCI/1.000.000 abitanti). Tutte le linee guida più recenti della Società Europea di Cardiologia sottolineano che l’angioplastica è l’intervento di prima scelta dell’infarto STEMI e soprattutto che i ritardi nell’accesso sono l’indice più rilevante della qualità di cura.

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