Maxi operazione dei carabinieri: in ginocchio 3 clan di camorra

Redazione Zerottouno News Redazione Zerottouno News9 Giugno 20206 min

I Carabinieri del ROS, in collaborazione con quelli del Comando Provinciale di Napoli e Caserta e dalla Compagnia Carabinieri di Giugliano in Campania, hanno dato esecuzione nelle ultime ore a un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Napoli, dal Giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale nei confronti di 59 persone, a vario titolo ritenute gravemente indiziate dei reati di associazione mafiosa e concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione elettorale, tentato omicidio, porto e detenzione di armi da fuoco e di esplosivo, danneggiamento, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, minaccia, turbata libertà degli incanti, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, favoreggiamento personale, rivelazione di segreti d’ufficio, tutti reati commessi al fine di agevolare le attività dei clan camorristici Puca, Verde e Ranucci operanti nei Comune di Sant’Antimo e in quelli limitrofi.

La localizzazione e l’arresto di uno dei destinatari della misura cautelare, che si trovava in Svizzera, sono avvenuti grazie al contributo della Divisione S.I.Re.N.E. del Servizio di Cooperazione Internazionale del Ministero dell’Interno e della Polizia Cantonale di Lucerna coordinata da quella Federale elvetica. Il provvedimento cautelare dispone la custodia cautelare in carcere per 38 indagati, i domiciliari per 18, la presentazione alla Polizia Giudiziaria per 2 e la sospensione dai pubblici uffici per uno.

Il provvedimento riassume un rilevante quadro indiziario, raccolto dall’ottobre 2016 al gennaio 2019, nel corso di una articolata manovra investigativa condotta dal Reparto Anticrimine di Napoli, in ordine a un datato rapporto tra la famiglia Cesaro, noti imprenditori di Sant’Antimo, e il clan Puca, riscontrando in tal senso la fondatezza delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, con riferimento a interessi e a partecipazioni del sodalizio mafioso nel centro polidiagnostico “Igea e nella galleria commerciale “Il Molino, entrambi con sede a Sant’Antimo, risultate essere società di fatto tra i Cesaro (formali titolari) e il capoclan Pasquale Puca, detto Pasqualino ‘o minorenne. Esponenti del clan, al venir meno dei pregressi accordi, hanno reagito compiendo un attentato dinamitardo al centro “Igea” il 7 giugno del 2014 ed esplodendo cinque colpi di pistola all’indirizzo dell’auto di Aniello Cesaro, in sosta presso un autolavaggio il 10 ottobre 2015, episodi sui quali le investigazioni hanno fatto piena chiarezza.

Emblematica, in tal senso, appare altresì l’imputazione riconosciuta dal GIP per l’anziana madre del capo clan Pasquale  Puca, donna che, destinataria della misura della presentazione alla Polizia Giudiziaria, è chiamata a rispondere del reato di ricettazione aggravata dalla finalità mafiosa per aver nel tempo ricevuto danaro proveniente dai fratelli Cesaro, frutto delle società di fatto esistenti tra gli imprenditori e il figlio. È stato altresì accertato il condizionamento delle elezioni comunali del Comune di Sant’Antimo (sciolto il 20 marzo per infiltrazioni mafiose) tenutesi nel giugno 2017, attraverso una capillare campagna di voto di scambio. In tal senso è stata fatta luce su un’incalzante opera di compravendita di preferenze, con una tariffa di 50 euro per ogni voto, a favore di candidati del centrodestra, soccombente, come noto, al ballottaggio, dopo un primo turno favorevole.


Il controllo del Comune di Sant’Antimo da parte della locale criminalità organizzata risulta proseguito anche dopo le elezioni, come chiaramente documentato dallo sviluppo delle investigazioni. Infatti, a seguito della mancata affermazione elettorale, la strategia criminosa è stata finalizzata da un lato a far decadere quanto prima la maggioranza consiliare e dall’altro a mantenere – malgrado una Amministrazione di diverso schieramento politico – il controllo sul locale Ufficio Tecnico attraverso la conferma nel ruolo di responsabile dell’Ing. Claudio Valentino. In tale contesto, le indagini hanno fatto luce su due attentati dinamitardi (20.11.2018 e 4.12.2018) indirizzati alle abitazioni di consiglieri comunali di maggioranza al fine di farli dimettere dalla loro carica e così far venir meno il numero legale per il funzionamento del Consiglio e determinarne lo scioglimento. Inoltre, sono stati individuati gli autori di un terzo attentato esplosivo (6.1.2018) ai danni dell’abitazione dei familiari del collaboratore di giustizia Claudio Lamino.

Le indagini hanno anche rivelato scopo e mandanti di atti intimidatori condotti con la minaccia di armi nei confronti di alcuni funzionari del locale Ufficio Tecnico Comunale, al fine di dissuaderli dall’accettare l’incarico di dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Sant’Antimo. Gli inquirenti hanno ricostruito un collaudato sistema di illecita gestione dell’Ufficio Tecnico nell’interesse deli 3 camorristici locali, avente a capo l’Ing. Valentino, indagato sia per l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa (per il clan Puca), sia per episodi di corruzione e di turbata libertà degli incanti relativi a 4 gare a evidenza pubblica, del complessivo valore di oltre 15 milioni di euro. Inoltre, le investigazioni hanno fatto luce sulle recenti evoluzioni interne al clan Puca e sulle interazioni con gli altri due sodalizi, i Verde e i Ranucci, di cui il GIP ha confermato esistenza e operatività.


Sono tre, infatti, le associazioni di tipo mafioso contestate: il clan Puca (Lorenzo Puca, Francesco Pio Di Lorenzo, Luigi Puca cl. 95, Antonio Ferriero, Nello Cappuccio, Antimo Puca, Giuseppe Di Domenico, Luigi Puca cl. 62, Francesco Di Spirito, Vincenzo D’Aponte, Giuseppe Garofalo, Teresa Puca e Pasquale Verde), il clan Verde (Agostino Russo, Camillo Petito, Domenico Di Lorenzo e Nicola Puca) e il clan Ranucci (Francesco Scarano, Raffaele Femiano e Alessandro Ranucci). Di queste tre consorterie criminali, il GIP ha riconosciuto l’esistenza di un quadro gravemente indiziario circa le loro cointeressenze politiche, imprenditoriali ed economiche, nonché la gestione in una cassa comune (c.d. cappello) dei proventi illeciti, per il pagamento di mesate ad affiliati e familiari dei detenuti.

Infine, le indagini hanno consentito di raccogliere indizi anche su illeciti rapporti tra due marescialli, già effettivi alla Tenenza Carabinieri di Sant’Antimo, e alcuni indagati. Il GIP ha disposto per un militare (già sospeso dal servizio all’esito di altra recente indagine) la misura della custodia in carcere e per l’altro, ora in servizio fuori provincia, la misura dell’interdizione dal pubblico ufficio. Il primo risponde dei reati di rivelazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento, mentre il secondo del reato di favoreggiamento, aggravati dall’aver agevolato le attività illecite dei clan Puca e Verde.


Contestualmente ai provvedimenti restrittivi, è stato notificato anche un decreto di sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore stimato di 80 milioni di euro. Si tratta di 194 unità, tra civili abitazioni, uffici, magazzini, autorimesse, nonché di 27 terreni (tutti ubicati tra le province di Napoli, Caserta, Frosinone e Cosenza), 9 società e 3 quote societarie, 10 autoveicoli e 44 rapporti finanziari. Tra i beni immobili spicca la galleria commerciale di Sant’Antimo “Il Molino”, con oltre 90 locali adibiti ad esercizi commerciali ed uffici.

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