50 anni fa la Calabria fu territorio di rivolte civili. Forse non tutti ne sono a conoscenza o se lo ricordano, ma alla base di queste rivolte ci fu la decisione di istituire il capoluogo in una città anzichè in un’altra.
Il contesto storico
Alla base c’era un’ambiguità storica: partire dall’epoca normanno-sveva e fino all’Unità d’Italia, il territorio dell’attuale Regione Calabria era amministrativamente suddiviso in due (infatti si diceva “le Calabrie“). Il territorio regionale centro settentrionale era chiamato Calabria Citeriore, mentre per la restante parte più meridionale della penisola la denominazione era quella di Calabria Ulteriore. La Calabria Citeriore ebbe sempre un unico capoluogo di riferimento, ovvero Cosenza. L’intendenza di Calabria Ulteriore invece ebbe tre sedi in periodi diversi, ovvero Reggio Calabria, Catanzaro e Monteleone Calabro, cioè l’attuale Vibo Valentia.
La rivolta
La rivolta fu popolare, al grido di “Reggio capoluogo“, ma sostenuta anche dai grandi partiti, prima in parte dal PCI e poi dal Movimento Sociale Italiano. Il 13 luglio fu proclamato uno sciopero che però ebbe scarsa adesione, visto che vennero prese le distanze da CGIL, PCI e PSI. Il giorno seguente fu proclamato un nuovo sciopero e in serata furono occupate la stazione ferroviaria di Reggio e di Villa san Giovanni, per poi essere sgombrate da un duro intervento delle forze dell’ordine. Il 15 luglio furono assaltate dai manifestanti le sedi del PCI e del PSI, ovvero i partiti che si erano defilati dai moti di protesta. Nel reprimere la protesta, la polizia, durante una carica, uccise il ferroviere Bruno Labate, iscritto alla CGIL, in occasione del cui funerale poi presidiò il corteo imbracciando i mitra. Man mano la rivolta assunse caratteri violenti. Il 9 agosto il deputato del PCI Pietro Ingrao tenne un comizio in piazza Italia, ma fu contestato dalla folla, riuscendo a stento a concludere. Il 16 agosto fu formato il nuovo governo presieduto dal democristiano Emilio Colombo. La sera successiva, sul ponte Calopinace, fu ucciso Angelo Campanella, 45enne autista dell’Azienda Municipale Autobus di Reggio. Il governo presieduto da Colombo negò qualunque negoziazione con i rappresentanti della protesta e, oltre a provvedere all’invio di contingenti militari, iniziò una sistematica opera di demolizione mediatica della rivolta: i mezzi di comunicazione, dopo un iniziale interessamento, limitarono notevolmente la copertura mediatica. La rivolta si concluse solo dopo 10 mesi di assedio con l’inquietante immagine dei carri armati sul lungomare della città. Con il cosiddetto “Pacchetto Colombo” il Governo decise di istituire la giunta regionale a Catanzaro e il consiglio a Reggio Calabria. Il bilancio complessivo fu di 6 morti, 54 feriti e migliaia di arresti.
La strage di Gioia Tauro
Ci furono diversi episodi anomali riscontrati durante quei mesi. I più misteriosi restano quelli relativi alla morte dei “5 anarchici della Baracca“ in un incidente stradale con molte ombre, e la cosiddetta “Strage di Gioia Tauro“, ovvero un deragliamento ferroviario causato da un ordigno esplosivo proprio il 22 luglio del 1970. A deragliare fu il treno direttissimo Palermo-Torino (detto treno del Sole), a poche centinaia di metri dalla stazione di Gioia Tauro. Alla fine si conteranno 6 morti e 66 feriti e la sentenza della corte di Assise di Palmi del 2001 individuerà come responsabili tre esponenti di Avanguardia Nazionale: Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella. Le cause non vennero mai accertate, ma nelle conclusioni della relazione del giudice istruttore del tribunale di Palmi si legge che l’attentato dinamitardo sia l’ipotesi più probabile. A partire dal 16 giugno 1993 due pentiti della ‘Ndrangheta cominciarono a deporre le proprie testimonianze. Stando alle loro affermazioni, nel 1970 in Calabria si erano formate alleanze strategiche tra criminalità organizzata, eversione nera e altri esponenti di diversi movimenti estremisti. Uno dei due era Giacomo Ubaldo Lauro che dichiarò di avere avuto rapporti con Vito Silverini, un fascista esaltato vicino ai vertici del Comitato d’Azione che in quel periodo stava infiammando i moti di Reggio. I due condivisero per un po’ di tempo la prigionia nel carcere di Reggio e Silverini confessò a Lauro di possedere una somma presso la Banca Nazionale del Lavoro pagatagli dal Comitato proprio per la bomba messa sul treno. Silverini, inoltre, si vantò con Lauro di essere sul posto sia al momento dell’esplosione che all’arrivo del questore Santillo. Con la riapertura del processo, la Corte d’Assise di Palmi emise una sentenza di condanna per gli esecutori della strage. Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella, imputati riconosciuti colpevoli erano però tutti e tre già deceduti. All’atto della chiusura del processo per la strage, l’unica condanna emessa nei confronti di uno dei coinvolti ancora vivente fu quella di “concorso anomalo in omicidio plurimo” a carico di Lauro: il reato però era estinto per prescrizione.